Alois Kracher Cuvée Eiswein 2005: una perla venuta dal ghiaccio

L'icewine (in tedesco, Eiswein) è un vino dolce caratterizzato da elevata acidità e da un redisuo zuccherino tra i 180 g/L e i 320 g/L. Prodotto principalmente in Germania, Canada ed Austria, il processo per ottenere l’icewine è ingegnoso ed unico al mondo e prevede la presenza di una serie di condizioni particolari: anzitutto il freddo. L'uva, lasciata sulla vite fino ai mesi invernali e sottoposta alla ripetute gelate, acquisirà in tal caso un maggior carico di aromaticità, di zuccheri e di acidi. Le uve, poi, dovranno essere raccolte, rigorosamente a mano, ad una temperatura di almeno -7° C (-8° C per gli icewine prodotti in Canada). La vendemmia e la successiva pigiatura dell'uva deve avvenire prima che questa scongeli in appositi locali termocondizionati. L’acqua contenuta nel frutto sotto forma di cristalli di ghiaccio non sarà estratta e l'unica cosa che verrà prodotta sarà un’esigua, ma preziosa percentuale di succo altamente concentrato. Il succo dell’uva Icewine è pari a un quinto circa di quello spremuto dagli acidi non congelati. In altre parole una vite riesce a produrre il mosto necessario per una bottiglia di vino, mentre una pianta d’uva Icewine ne fornisce a sufficienza solo per un bicchiere.
L'elevato livello di zuccheri nel mosto porta ad un più lento processo di fermentazione che può durare anche mesi di tempo per completarsi (rispetto ai pochi giorni o alle poche settimane per i vini "normali"). A causa degli elevati rischi di produzione (se la gelata non arriva le uve possono essere attaccate da muffa), della minor resa per pianta e della difficoltà del processo di fermentazione, gli icewine sono notevolmente più costosi di vini da tavola.

La Degustazione

Alois Kracher, purtroppo scomparso lo scorso anno, è stato sicuramente uno dei migliori produttori di vini dolci del mondo. La sua azienda, con sede a Illmitz ,nella regione austriaca del Burgenland, ha circa 7.5 ettari a vigneto e produce solo vino di elevata qualità ottenute da uve Welschriesling, Chardonnay, Traminer, Scheurebe, Muskat – Ottonel ed altre varietà sperimentali.
La Cuvee Eiswein 2005 è uno strepitoso "vino del ghiacchio" composto da un 50% di Welschriesling e un 50 % di Chardonnay. Di un giallo dorato brillante, presenta un naso molto ricco dove spiccano le note di miele di acacia, fico secco, albicocca disidratata, arance amare e iodio, contornate da sfumature minerali dove è facile riconoscere lo iodio e la nota di idrocarburo tipica del vino. In bocca il vino è morbido e dotato di una grandissima freschezza. Grande corrispondenza gusto olfattiva per questo vino che è dotato, una volta degludito, di un grande finale giocato su una bellissima armonia di fondo. Grandissimo vino austriaco che, con i suoi 30 euro di costo, rappresenta un vino dal fantastico rapporto qualità - prezzo.


Evviva il vignaiolo VIP!!

Il vino e' sempre piu' una passione per i personaggi famosi. Soprattutto nel mondo dello sport e dello spettacolo, ma anche della musica, della moda e della cultura sono in molti quelli che hanno deciso di investire in vigneti. Quello che prima era un hobby e' diventato, per alcuni, un vero e proprio business. E gli esempi non sono pochi.
L'attrice Ornella Muti ha, ad esempio, acquistato l'abbazia di Vallechiara in provincia di Alessandria e produce Dolcetto d'Ovada. Stefania Sandrelli con Giovanni Soldati, nella fattoria Villa Nano sulle colline senesi, hanno puntato sul Chianti docg 'Acino d'uva', mentre Ottavio Missoni ha vigneti nelle Langhe. Claudia Mori con il marito Adriano Celentano, ha acquistato un podere vicino a Radda in Chianti, con annesso vigneto. Al Bano, ormai da decenni, produce vino bianco e rosso nella sua tenuta di Cellino San Marco. La regista Lina Wertmuller e' socia dall'anno di fondazione, il 1979, dell'azienda agricola di Rodendo Saiano, a Brescia in Franciacorta. Tra i cantautori anche Ron ha investito in vigna producendo un rosso e un bianco Igt nell'Oltrepo' Pavese con l'etichetta 'Fracent'anni'. Lucio Dalla imbottiglia, invece, vino rosato in Sicilia. Non mancano neanche gli artisti stranieri che hanno eletto l'Italia a qualcosa di piu' che ad una semplice meta turistica. Tra questi spiccano, sempre in Sicilia, Mick Hucknall e Carole Bouquet: la voce dei Simply Red Sicilia produce Nero D'Avola, mentre l'attrice francese ha legato il suo nome al Passito di Pantelleria. Nell’isola l’ex di Depardieu è proprietaria di vigneti, uliveti e piantagioni di capperi. Uno dei primi, tra i vip, ad arrivare nel Chianti e' stato, invece, Sting che da tempo 'firma' il suo vino. Per non parlare dei manager. A Montalcino l’ad della Time Warner , Richard Parsons produce un ottimo Brunello. Ma anche il mondo dello sport non resta a guardare. Il campione mondiale di apnea Gianluca Genoni, sempre nell'Oltrepo', produce tre varieta' di vino biologico (rosso,bianco e moscato) dai nomi legati alle sue immersioni. L'ex patron della Lazio, Sergio Cragnotti produce bottiglie pregiate di Nobile di Montepulciano con tre anni di invecchiamento.
Il piu' noto nel mondo del calcio e' Nils Liedholm. L'allenatore dello Roma tricolore a Cuccaro Monferrato, nella sua fattoria, produce da anni vini di qualita' ottenendo per il suo lavoro piu' di un premio. In passato ha anche messo in bottiglia un Barbera con una speciale etichetta sullo scudetto della Roma. L'ultimo in ordine di tempo e' stato Paolo Rossi che in Val d'Ambra, tra le colline aretine, ha iniziato a produrre il 'Borgo Cennina'. Dal calcio al ciclismo: Francesco Moser per molti anni socio della Cantina La Vis, una delle piu' importanti realta' cooperative del mondo del vino italiano produce nell'azienda di famiglia oltre 100.000 bottiglie. La 'febbre' del vino coinvolge anche i campioni delle quattro ruote. Jean Alesi, indimenticato pilota della Ferrari, producenel suo Chateau de Segreis, circa quattro ettari vitati, un Cote du Rhone apprezzatissimo dal nome 'Clos de l'Hermitage.' Portano invece la firma di Jarno Trulli, prima guida del Team Toyota, i vini dell'azienda Podere Castorani, in provincia di Pescara.


(fonte ANSA)

Aveva ragione Mario Soldati sull'asprinio d'aversa.......

Il vino Asprinio è un tipico prodotto dell'Agro Aversano la cui origine si perde nella notte dei tempi. Sappiamo per certo che in quella terra nota come Liburia esisteva “un'uva che non aveva eguali”. Si sa che in epoca normanna Louis Pierrefeu, cantiniere di corte di Roberto d'Angiò, individuò nei dolci declivi vicino Aversa il suolo ideale per impiantare le viti che assicurassero alla corte normanna una riserva di spumante al posto dello Champagne che a quei tempi era difficile da trasportare. Oggi la zona di produzione di questo vino comprende il territorio di diversi comuni delle province di Caserta e di Napoli e ora, come al tempo degli angioini, l’uva viene coltivata con il classico metodo detto ad "Alberata Aversana". Tale sistema di viticoltura è unico in quanto le viti, dette maritate poiché si appoggiano appunto ai pioppi, si innalzano anche oltre i 10-15 metri di altezza. Vi immaginate ora quegli intrepidi vendemmiatori equilibristi che raccolgono l’uva su scale altissime? Viti, inoltre, franche di piede, come in era pre-fillosserica? Queste sono alcune delle caratteristiche che rendono unico, ineguagliabile l'Asprinio di Aversa, a tal punto che Mario Soldati nel suo libro Vino al Vino scrisse: "Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno. Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolce. L’Asprinio no. L’Asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta... Che grande piccolo vino!".

Le Cantine Grotta del Sole nascono nel 1992 grazie alla voglia della famiglia Martusciello di dare il via ad un vero e proprio lavoro di ¨riscoperta enologica, con il preciso intento di valorizzare e, in alcuni casi di riscoprire, alcuni vini campani di qualità come come la Falanghina e il Piedirosso dei Campi Flegrei, l`Asprinio dell`Agro Aversano, il Gragnano e il Lettere. In virtù di questo amore, vengono prodotti vini che possano esaltare le qualità e le potenzialità dell'uva, senza stravolgerne i gusti e gli aromi, senza cioè produrre vini dal "gusto d'impresa", banalizzazioni standardizzate della moderna enologia. Qualità tradizione, tipicità, genuinità, cultura. Sono le linee conduttrici del programma enologico di studio e recupero "Grotta del Sole".


La degustazione: Asprinio d'Aversa Extra Brut 1997 DOC Grotta del Sole

Il vino, di un perlage abbastanza persistene e fino, si presenta di un colore dorato brillante. Al naso è subito marcata la caratteristica dell'uva con i tipici sentori sentori agrumati, soprattutto di cedro, miele e frutta secca. In bocca lo spumante, nonostante l'età, si mantiene fresco ed equilibrato, con un finale molto lungo giocato su note citrine che lasciano il palato pulito e pronto per il prossimo boccone...... di mozzarella di bufala. Già, io consiglio vivamente questo abbinamento, soprattuto ora in estate, perchè l'asprinio d'aversa, con le sue caratteristiche di freschezza ed acidità, ben si sposa con le note grasse della mozzarella di bufala campana DOP. Buon appetito!







Notizie flash dal mondo del vino: eletto il miglior sommelier del mondo

Lo statunitense Aldo Sohm ha vinto il premio 'Miglior sommelier del Mondo 2008' nel concorso organizzato per la prima volta in Italia - viene spiegato dagli organizzatori in un comunicato diffuso a Milano - dalla Worldwide sommelier association (Wsa). L'americano ha preceduto lo spagnolo Roger Viusà Barbarà (campione europeo in carica) e il portoghese Manuel Joaquim Duarte Moreira, classificati entrambi secondi a pari merito.Le finali si sono svolte a Roma con una prova di degustazione, una correzione di una carta dei vini, una prova pratica di servizio e un test di abbinamento cibo-vino. Al concorso hanno partecipato 14 sommeliers professionisti provenienti da altri Paesi aderenti alla Wsa. Il premio al Miglior Sommelier del Mondo 2008 Comunicatore del Vino e del Cibo è andato al giornalista Marcello Masi, curatore della trasmissione televisiva 'Eat Parade' e vicedirettore del Tg2. La prossima edizione del mondiale si svolgerà nel 2010 a Barcellona. (Fonte Ansa)
Vabbè nel 2010 mi presento io!
AMMERICANO TE M'HAI PROVOCATO E IO TE DISTRUGGO!!

Cesanese del Piglio DOCG: seconda parte dell'intervista a Coletti Conti

Parliamo del nuovo disciplinare. Ci sono dei miglioramenti rispetti al vecchio?

Veniamo ad un sommario esame delle più importanti differenze. Il nuovo disciplinare prevede una densità di impianto minima di 3.000 ceppi/ha, mentre il disciplinare del 1973 non prevedeva, in proposito, alcuna limitazione. La densità di impianto minima richiesta dal nuovo disciplinare renderà impossibile l’impianto di vigneti a tendone, pratica molto comune negli anni passati. Il vecchio disciplinare prevedeva una produzione massima di 125 q.li/ha, con una tolleranza del 20%; in pratica era consentito produrre fino a 150 q.li/ha! Non essendovi limite riguardo alla forma di allevamento ed alla densità di impianto, poteva giungersi, in perfetta conformità alle prescrizioni del disciplinare, all’assurdo di un vigneto allevato a tendone con densità di 1100 ceppi/ha che produce 150 q.li di uva, con una produzione di circa kg.13,5 per pianta! Il nuovo disciplinare prevede, per la tipologia base, una produzione massima di 110q.li/ha e, per la tipologia “Superiore”, una produzione massima di 90 q.li/ha; combinando questi dati con la densità minima imposta dal nuovo disciplinare, avremo una produzione massima per la tipologia “base” di circa Kg.3,6 per pianta e, per la tipologia “Superiore” di circa Kg.3,0 per pianta. Il miglioramento è di palmare evidenza. Tenga conto, poi, che le c.d. “aziende guida” si attengono a “disciplinari aziendali” ben più rigorosi, con densità di impianto comprese tra 4.000 e 5.000ceppi/ha e con produzioni per pianta non superiori a kg.1,5.

Scorrendo il nuovo discipliare, si legge che è ammesso l'uso di un 10% di altre uve. Questo può aprire la strada a vini "poco tipici" che, tra l'altro, non sfrutterebbero il potenziale del cesanese?

Il vecchio disciplinare, attualmente in vigore, prevede il Cesanese, Comune o di Affile, per un minimo del 90%; il restante 10% può essere costituito da Montepulciano, Sangiovese, Barbera, Trebbiano toscano (Passerina), Bombino bianco (Ottonese); il nuovo disciplinare prevede invece, per quel 10% residuo, la possibilità di impiegare esclusivamente uve a bacca rossa la cui coltivazione è consentita nel territorio amministrativo della Regione Lazio. Ciò comporta, innanzitutto, l’eliminazione delle uve a bacca bianca (e non mi sembra cosa da poco); per quanto riguarda il temuto “inquinamento” del Cesanese con Merlot e/o Cabernet, e conseguente perdita di tipicità del nostro prodotto.... beh, voglio rassicurarvi: i primi a voler tutelare la tipicità del cesanese siamo noi produttori! Nessuno di noi si sogna di "merlottizzare" o "cabernettizzare" il Cesanese: se facciamo questo lavoro è per passione ed amore verso questo prodotto! La sua “diversità” è la nostra principale opportunità di successo! L’introduzione di quella clausola nel disciplinare è null’altro che espressione degli indirizzi di politica legislativa del Comitato Nazionale per la Tutela e la Valorizzazione delle Denominazioni di Origine, organo del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ed è conforme a quanto si è fatto per la maggior parte dei disciplinari di più recente approvazione, anche per quanto riguarda le D.O.C.G..

Qualche esempio? Disciplinare del “Valtellina Superiore” D.O.C.G. Art. 2, 2°co.: .....possono concorrere altri vitigni a bacca rossa non aromatici raccomandati per la provincia di Sondrio fino ad un massimo del 10% del totale. Disciplinare dello “Sforzato di Valtellina” D.O.C.G. Art. 2, 2°co.: .....possonoconcorrere altri vitigni a bacca rossa non aromatici raccomandati per la provincia di Sondrio fino ad un massimo del 10% del totale. Disciplinare del “Taurasi” D.O.C.G. Art. 2, 2°co.: .....possono concorrere altrivitigni a bacca rossa raccomandati o autorizzati per la provincia di Avellino, fino aun massimo del 15%. Disciplinare del “Nobile di Montepulciano” D.O.C.G. Art. 2, 3°co.: .....possonoconcorrere fino ad un massimo del 20% (!) i vitigni raccomandati e/o autorizzati perla provincia di Siena purché la percentuale dei vitigni a bacca bianca non superi il10%. E così via.

Ringranziando Anton Maria Coletti Conti per la cortesia nel rilasciarci questa breve intervista, Percorsi Di Vino cercherà nel futuro di approfondire ancora di più il tema della salvaguardia delle tipicità, attraverso interviste ad altri produttori.

Cesanese del Piglio DOCG: l'opinione di Coletti Conti

Percorsi Di Vino ha chiesto al più grande produttore di cesanese del Lazio (e non solo) un'opinione circa l'introduzione della prima DOCG del Lazio. Questa la prima parte dell'intervista.

Sig. Coletti Conti, secondo lei ci saranno solo "vantaggi" per questo importante riconoscimento?

Bisognerebbe, prima di tutto, mettersi d’accordo su una questione fondamentale: cosa intendiamo per “vantaggi”? Se per “vantaggi” intendiamo quelli meramente commerciali, ritengo che, nel breve periodo, il riconoscimento della DOCG possa portare qualche beneficio, non fosse altro che per la curiosità che può destare, nel consumatore e/o nell’appassionato, l’attribuzione al Cesanese del Piglio della prima DOCG del Lazio.Tengo, tuttavia, a sottolineare che ho usato la locuzione “nel breve periodo”, perché l’approccio del “curioso” è sempre, e giustamente, attento e severo: colui il quale, spinto dalla curiosità suscitata dal prestigioso riconoscimento, per la prima volta assaggerà un Cesanese del Piglio, si aspetterà, come è giusto, un prodotto di eccellenza! Se il vino non risponderà alle sue aspettative, la stroncatura giungerà definitiva ed inesorabile e non riguarderà solo la bottiglia degustata, ma coinvolgerà l’intera denominazione. In tal caso il riconoscimento della D.O.C.G. si rivelerà un autentico boomerang!
A tal proposito c’è da dire che, almeno per quanto ne penso, negli ultimi anni il Cesanese del Piglio, in termini qualitativi, ha fatto passi da gigante: chi realmente conosce i trascorsi del Cesanese del Piglio non può che convenire con me se affermo che, fino a dieci anni fa, vini come il Torre del Piano, il Dives, il Colle Forma, il San Magno (e forse qualcos’altro) ce li sognavamo. I progressi ottenuti sono il frutto della ricerca, del lavoro, della creatività, dell’abnegazione e della testardaggine (e, in qualche caso, della “follia”) di uno sparuto gruppo di produttori “illuminati” che, contro ogni evidenza derivante dalle esperienze del passato, hanno creduto con determinazione nel Cesanese ed hanno perseguito, tra mille scetticismi e difficoltà, la difficile strada della qualità. Ora arriva la D.O.C.G, ed è lecito chiedersi quale sia lo stato dell’arte: la risposta si trova nelle righe appena scritte. Esistono alcuni prodotti di ottima fattura e ben degni del riconoscimento che, comunque, certamente vedranno ancora, nei prossimi anni, un ulteriore, deciso miglioramento qualitativo. C’è, poi, una serie di prodotti di buon livello che necessita, certamente, di una crescita qualitativa più sensibile; riguardo a queste ultime realtà sono, comunque, molto fiducioso: vivo su questo territorio ed ho il polso della situazione. C’è un grande fermento nel nostro comprensorio, una forte e sana voglia di far bene, di crescere, di affermarsi; ci sono molti giovani in gamba, intelligenti e fattivi, che, incoraggiati e stimolati dai risultati raggiunti dalle “aziende-guida”, profondono energie e risorse sul Cesanese, e sono certo che i risultati di tanto impegno non tarderanno a manifestarsi.

In sintesi, sono motivatamente ottimista, pur nella consapevolezza che la strada da percorrere è, per tutti, ancora ben lunga e che nessuno può essere tanto stupido dasentirsi “arrivato”. La D.O.C.G. ha, in questo senso, una duplice valenza: da un lator appresenta il riconoscimento dei tanti sforzi profusi, con buon successo, negliultimi anni; dall’altro lato fungerà da stimolo, per tutti gli attori del territorio, verso il perseguimento di obiettivi vitivinicoli sempre più alti. Ed è su questo secondo aspetto che tutti noi “cesanesisti” dobbiamo porre la massima attenzione: dobbiamo, in altri termini, vivere la D.O.C.G. come la fonte di nuove, ineludibili responsabilità.






Cena Enoclub Roma con i vini di Casale Marchese

Giovedì 29 Maggio Enoclub Roma propone una cena degustazione con i vini dell’azienda Casale Marchese. Vi aspettiamo dalle ore 20.30 presso il ristorante “La Locanda dell’Interprete” – Via del Pigneto 207 – Roma.

Il menù della serata sarà il seguente:

Vitello tonnato - cottura lenta - servito con salsa gribiche, abbinato al CLEMENS di Casale Marchese

Penne con polpette di carne, asparagi e limoni canditi, abbinato al Rosso di Casale Marchese

Filetto mignon (100gr.) "rafforzato" dal caciocavallo podolico e la pancetta steccata con gelato di zucchine e semi di mostarda, abbinato al Marchese de' Cavalieri di Casale Marchese

Lasagna di panna cotta e frutta fresca, abbinato al Frascati Cannellino di Casale Marchese
Pane e acqua inclusi nel prezzo.

Costo soci enoclub 25 euro, nuovi associati 30 euro. Tutte le informazioni su www.enoclubroma.it o al 339/5728595

ARRIVA LA PRIMA DOCG LAZIO, E' IL CESANESE DEL PIGLIO

ROMA - Il Comitato Nazionale Tutela Vini ha dato ''parere positivo'' per il riconoscimento della Denominazione d'Origine Controllata e Garantita al Cesanese del Piglio che si avvia cosi' a conquistare l'ambito titolo di 'prima Docg del Lazio'. Il nuovo disciplinare, discusso in audizione pubblica, e' stato approvato ieri sera e prevede due tipologie: Cesanese del Piglio e Cesanese del Piglio Superiore, con la menzione di 'Riserva' per i vini invecchiati oltre 18 mesi. Il via libera definitivo avverra' con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il presidente del Consorzio di Tutela Paolo Perinelli nel manifestare ''grande soddisfazione per riconoscimento di particolare pregio qualitativo raggiunto grazie alla determinazione di tutti gli attori del territorio'', esprime gratitudine alla Agenzia Regionale di Sviluppo Agricolo (Arsial) che ha sostenuto fin dalla nascita il progetto, con professionalita' e competenza. Dopo la volata al traguardo della Doc nel 1973 ''ora - sottolinea Perinelli - spettera' agli 85 viticoltori e 20 aziende produttrici valorizzare il traguardo raggiunto perche' la prima Docg del Lazio non si confrontera' nel mercato con i grandi numeri, ma con la qualita' e la coerenza dei suoi prodotti''. (fonte ANSA)
Ora mi pongo queste domande:
  • siamo sempre sicuri che un vino DOCG sia sempre e in assoluto qualitativamente migliore?
  • il nuovo disciplinare prevede che il Cesanese del Piglio si potrà fregiare del titolo Docg se costituito dal 90% di Cesanese d’Affile e/o Comune e dal restante 10% di vitigni a bacca rossa autorizzati dalla Regione Lazio. Pertanto, è stata prevista la possibilità di "aggiustare" il vino con uve non ancora meglio precisate (son sicuro che ci sarà il Merlot) che potrebbero in qualche modo rendere il vino non così tipico. Sarà cura, a questo punto, dei produttori di qualità di evitare questa spersonalizzazione e far uscire sul mercato bottiglie di cui non si sente la mancanza.

Spero mi possiate aiutare a risolvere queste domande.......

Krug 1996: tutta l'emozione di uno champagne

L'azienda

Nel 1843 Joseph Krug fonda la sua azienda con un solo obiettivo: produrre uno champagne che avesse uno stile diverso dagli altri. Le successive generazioni hanno continuato a perseguire questo obiettivo arrivando, anno dopo anno, a risultati sempre migliori e portando il marchio Krug nell'olimpo dello champagne.
L’eccezionale qualità del vino della Maison Krug nasce prima di tutto da una attenta selezione delle uve che provengono da un mosaico di piccolissimi vigneti e conferite da viticultori legati all’azienda da generazioni.
La filosofia produttiva Krug prevede che tutti i vini base siano fermentati in fusti di rovere (pieces) da 205 litri di almeno tre anni (il che rallenta l’evoluzione e aumenta la capacità di conservazione), e che l'assemblaggio delle partite sia curato ancora dalla famiglia. Quest’ultima attività viene effettuata annualmente, generalmente a febbraio, da una equipe di “nasi esperti” al fine di ricercare e ricreare ogni anno lo stile Krug. In tale ambito un ruolo importante nella ricerca di questa costanza stilistica e qualitativa lo giocano i “vini di riserva” della Maison che sono una selezione dei migliori vini delle annate precedenti, vecchi anche di dieci anni, accuratamente conservati: materia prima preziosissima per uno champagne nella cui cuvée, l’assemblaggio, entra ogni anno un’alta percentuale di “vini di riserva”, talvolta quasi il 50 per cento. Una volta creata la cuvée, il vino invecchierà nelle cantine Krug per almeno 6 anni prima di rivelarsi al mondo. Alla fine avremo al palato un vino fatto di tradizione, lavoro e pazienza.

La degustazione

Presso la splendida cornice di Villa Le Corti, durante la mia partecipazione alla mostra mercato “Alla Corte del Vino”, ho potuto degustare una batteria di bellissimi champagne e spumanti tra cui un fantastico Krug 1996.
Potente, maestoso e dotato di un perlate finissimo ed elegante, al naso ci accoglie con un bellissimo quadro olfattivo dove possiamo ritrovare sensuali pennellate di aromi di agrumi secchi, pane tostato, banana verde, ananas, papaia e miele Il quadro aromatico si conclude con delle bellissime note di fiori gialli e pietra focaia. Lievi effluvi iodati.
Al palato lo champagne è cremoso, con una sapidità e una mineralità tipica dello stile Krug. Molto equilibrato, chiude lunghissimo su note di frutta gialla e miele. Ancora giovane potrà essere conservato e fatto maturare per altri 10/20 anni senza problemi.
Un vero “mostro” da avere assolutamente nella cantina personale. A chi interessa, 99/100 WS.

Finalmente la Calabria nel bicchiere: Ronco dei Quattro Venti 2005

La Calabria, un mare stupendo e un entroterra ricco di storia.
La Calabria con il suo peperoncino onnipresente e la cipolla rossa di Tropea.
La Calabria, terra di vini di qualità. No! Questo, purtroppo, non lo possiamo scrivere.

Eh sì perchè questa bella regione, dalle grandissime potenzialità in campo vitivinicolo, è un pò la cenerentola italiana in fatto di grandi vini e questo perchè la maggior parte dei vignaioli che ancora si ostinano a produrre vini di vecchia concezione, soprattutto rossi (l'unico bianco degno di nota è il riscoperto greco di bianco) legati più all'aspetto quantitativo che qualitativo. Se non ricordo male ho letto che l'80% del vino prodotto in Calabria è un vino da tavola, quindi senza etichetta, controlli, etc. Il classico vino del contadino come si produceva ai tempi della Magna Grecia.

In mezzo a questo piattume di fondo qualcosa comincia a muoversi e, seppur lentamente, qualche cantina si sta rinnovando puntando verso la qualità.

Una di queste è la Fattoria San Francesco della storica famiglia Siciliani.

Ci troviamo a Cirò nello splendido Casale San Francesco, antico convento francescano dove già nel 1578 i frati impiantarono dei vigneti, divenuto di proprietà della famiglia Siciliani dal 1777 dopo che fu soppresso con decreto di Ferdinando IV il 30 Ottobre del 1770.

Da quei vigneti ancora oggi si producono i vini della Fattoria San Francesco e l'antico convento, oggi Casale San Francesco, è il centro dell'attività agricola dell'azienda condotta oggi da Francesco Siciliani che, dopo aver mosso i primi passi all'interno della cantina di famiglia, facendo bagaglio di una consolidata esperienza nel settore, ha realizzato una sua cantina ad alta tecnologia.

Lo stabilimento di 2000 mq, di cui seicento interrati ne costituiscono la bottaia, ha una capacità produttiva di oltre un milione di bottiglie l'anno, ed è dotato di silos d'acciaio e macchinari che consentono metodi di vinificazione all'avanguardia. La scelta del controllo di qualità che accompagni le uve lungo tutto il ciclo colturale fino all'imbottigliamento, è stata la carta vincente della Fattoria San Francesco per ridare prestigio alla vocazione della sua terra, per troppo tempo offuscata da produzioni più attente alla quantità che alla qualità.La valorizzazione dei vitigni che hanno reso celebre fin dall'antichità la produzione del Cirò, caratterizza dunque la filosofia dell'azienda.


Dal Gaglioppo, vitigno di impianto collinare, dalla tipica forma ad alberello, si produce il vino che vorrei presentare, il "Ronco dei Quattroventi" dell'annata 2005, un Cirò rosso classico, felice espressione delle potenzialità di questo vitigno elevato in barrique francesi per 12/13 mesi.

Di un colore rosso rubino profondo, al naso il vino è molto complesso con belle note fruttare di marasca, prugna secca e ribes. Ruotando di nuovo il bicchiere escono le note scure, quasi ematiche, seguite da sfumature di cannella, tabacco da pipa, liquerizia. Bella scia balsamica di contorno. In bocca il vino gioca le sue carte vincenti sull'equilibrio e sulla sapidità, avvolgendo il palato con un tannino avvolgente ma non invadente, tipico del vitigno. Finale molto lungo giocato su note minerali e speziate.

Bellissimo vino e una bellissima sorpresa per me che non avrei mai pensato che da questo vitigno autoctono, il gaglioppo, si potesse tirar fuori un vino di questa classe ad un prezzo più che onesto (circa 20 euro). Speriamo che la famiglia Siciliani faccia da traino per tutti.

MAI PIU' "BRUNELLOPOLI". PETIZIONE ON-LINE

Percorsi Di Vino, al fine di tutelare uno dei vanti dell'enologia italiana nel mondo, aderisce alla campagna promossa dall'Enoclub Siena (http://www.petitiononline.com/brozzi/petition.html).

Ecco il testo integrale:

Come gruppo di appassionati di vino chiediamo il rispetto per la tradizione del sangiovese grosso coltivato a Montalcino.


La moderna agricoltura, con massiccio uso ed abuso di chimica, rischia di impoverire il terreno al punto da privarlo dei suoi componenti naturali, incapace di sopravvivere senza importanti e frequenti “flebo” di chimica. E’ il momento di incentivare con più forza una maggior tutela del valore biologico del terreno coltivato secondo criteri di naturalità.


Chiediamo il rispetto del ciclo di lavorazione tradizionale in cantina. Stop all’uso di mosti da uve non autoctone, stop ai lieviti selezionati, stop all’uso eccessivo di legni piccoli per la maturazione e in generale a tutte quelle pratiche che possono minare la naturalità e la tipicità del Brunello di Montalcino.


Sollecitiamo severità nei controlli da parte delle autorità preposte e confidiamo nel controllo interno da parte del Consorzio per il rispetto di questi imprescindibili elementi della tradizione.


Un vino snaturato è un vino che imbarbarisce i gusti del consumatore meno evoluto e altera la fiducia tra consumatore attento e produttore, la base per un duraturo rapporto commerciale, umano e di amicizia con la realtà produttiva di uno dei più grandi vini toscani, italiani e del Mondo: il nostro amato Brunello.


Enoclub Siena

Intervista esclusiva a Martino Manetti: io, mio padre, Montevertine e il Pergole Torte

Come e quando nasce la passione della tua famiglia per il vino?

La passione per il vino mio padre l’ha sempre avuta fin da piccolo, nascendo a Poggibonsi è una cosa naturale, fa parte dell’ ambiente. Considera poi che è cresciuto assieme a Giulio Gambelli, che nel corso degli anni gli ha insegnato parecchie cose. Quando ha avuto la possibilità di produrre vino da solo, non si è quindi lasciato sfuggire l’occasione.


Il tuo primo vino prodotto è del 1971. L'idea di tuo padre è stata subito quella di puntare sul Sangioveto?


Il nostro primo vino è stato il Chianti Classico 1971, una produzione di circa 4000 bottiglie. Da subito sono state eliminate le uve bianche previste dal disciplinare e si è puntato sul sangiovese come punto di riferimento per la produzione.


Siete usciti, tra i primi, dal Consorzio di Tutela del Chianti. Come mai questa scelta di "chiamarvi fuori"?

La scelta di uscire dal consorzio è stata dettata sicuramente dal carattere di mio padre, che non ha mai voluto aver padroni nella sua vita e soprattutto non ha mai accettato di sottostare a regole secondo lui sbagliate. La scommessa di puntare sul solo nostro nome è stata vinta solo grazie a alla qualità, non scordiamocelo. Il tempo penso ci abbia dato ragione.

Oltre a te e tuo papà, chi sono le persone più importanti in azienda? Puoi spiegarmi perchè è fondamentale il loro ruolo?

Le persone importanti in azienda , oltre a Sergio, sono state e sono tuttora Bruno Bini, il fattore, nato a Montevertine e sempre vissuto qua dedicandosi alla fattoria, prima come mezzadro e poi come collaboratore principale. Si può considerare senza dubbio la memoria storica dell' azienda, nonché il primo cantiniere. Poi Giulio Gambelli, senza di lui Montevertine, almeno a questi livelli, non sarebbe mai esistita. Per vent'anni ha lavorato con noi anche mio cognato Klaus Reimitz, che ha fatto moltissimo per l'azienda, sia in cantina sia nelle relazioni con l'estero. Purtroppo un paio di anni fa avvenimenti familiari ci hanno diviso, con mio profondo rammarico.Oggi citerei anche i nostri collaboratori di cantina e di vigna Andrea, Stefano, Marco, Paolo, Marco e Armando senza i quali non si andrebbe certo avanti. Poi la nostra segretaria - factotum Romanita, che si occupa del "lato oscuro" dell' azienda, cioè l'ufficio, sollevandomi quotidianamente da beghe varie. Last but not least, Giselda e Claudia, le cuoche del reame, e penso tu sia d'accordo....

Mi puoi parlare delle attuali vigne e di come le gestite?

Le vigne attuali sono un insieme di vecchi e di nuovo. Del nucleo originale, piantato fra il 1968 e il 1982, oggi rimane solo la vigna Pergole Torte, la prima, ed una parte sotto le cantine. Queste sono state “restaurate” negli ultimi due anni, reimpiantando le fallanze e sostituendo pali e fili. Stiamo oggi procedendo al reimpianto completo di 2,5 ettari piantati nel 1972, che verrano quasi interamente piantati a sangiovese, salvo qualche filare di canaiolo e colorino. Abbiamo poi un nucleo di 3,5 ha a Selvole, a 3 km di distanza, piantato nel 1997, altri 2 ha sotto la fattoria piantati nel 1999, la vigna del sodaccio, reimpiantata completamente nel 2000 e la vigna del pian del ciampolo, piantata ex novo nel 2003. Dal 2006 abbiamo poi preso in affitto due piccoli appezzamenti contigui alla fattoria per un totale di 1,5 ha. Considera che le vigne vecchie sono allevate a guyot, mentre tutte quelle nuove a cordone speronato. Tutti i lavori in vigna sono eseguiti manualmente, ad eccezione dell’ aratura , della concimazione e della cimatura estiva. Per la concimazione usiamo maggiormente stallatico. Per la difese della vite, la tradizionale poltiglia bordolese, salvo casi eccezionali. Mai e poi mai antimuffe varie, comunque.


Come nasce il Pergole Torte? Come lo potresti definire?


Il Pergole Torte nacque nel 1977, come proposta di chianti classico “superiore”. Proposta che come ben sai venne bocciata dal consorzio, dando vita alla scelta di uscirne fuori. Ancora oggi penso che questa definizione possa andar bene. Il Pergole è in effetti, almeno nei nostri intenti, un vino fortemente di territorio, che prova ogni anno ad essere migliore e a sfruttarne appieno le caratteristiche.


Vi aspettavate tutto questo successo?


Il successo? Sono sicuro che Sergio se l’aspettava, non ha mai intrapreso un‘ attività per il gusto dell’avventura, sapeva certamente che ne sarebbe uscito qualcosa di buono. Io a dire il vero nel successo ci sono nato, è inutile nascondersi, è da quando sono bambino che sento parlare del nostro vino come di un punto di riferimento. E qui viene il difficile, mantenere il successo in tempi come questi, dove tutti sono pronti a cogliere in fallo alla minima esitazione chi il successo appunto ce l’ha. A volte, comunque, confesso che ogni tanto mi stupisco dei complimenti che riceviamo, dopotutto siamo solo dei normalissimi viticultori e non abbiamo certo inventato nulla di nuovo.


Qual'è l'annata del Pergole che ritieni migliore? E quella secondo te sottovalutata?


L’annata migliore del Pergole, e penso che siamo d’accordo , è stata il 1990, non ci sono dubbi. A ruota metterei il 1988, il 1981, il 1999. Per il 2001 e il 2004 aspettiamo. Quelle sottovalutate sono il 1996 e il 1998, a cavallo della sopravvalutatissima 1997.


Se e cosa è cambiato nell'attuale processo di vinificazione del vino dopo la morte di tuo padre? Stai dando una impronta tutta tua oppure c'è sempre il rispetto della tradizione?


Dopo la morte di mio padre non è cambiato assolutamente nulla, ci tengo a dirlo. I nostri metodi di vinificazione sono gli stessi da sempre, con una guida come Giulio del resto non potrebbe essere altrimenti. Quello che è cambiato è l’attrezzatura di cantina, abbiamo comperato macchinari più moderni per aggiornarci e lavorare meglio, sempre nel rispetto di un metodo consolidato e, ritengo, vincente.

Vega Sicilia Unico: emozioni di Spagna

La storia di Vega Sicilia comincia nel 1864 quando Don Eloy Lacanda y Chaves, di ritorno da Bordeaux dove aveva studiato enologia, acquisì alcuni terreni a Castiglia, nella rinomata zona vinicola di Ribera del Duero, e decise di piantarci Cabernet Sauvignon, Merlot, Malbec (pari al 40% del totale del vigneto) insieme all'uva rossa più tipica della zona: il Tinto Fino o Tinta del Pais, meglio conosciuto come Tempranillo.
I duecentocinquanta ettari di vigneti (anche centenari) di proprietà sono piantati su suoli di composizione siliceo-calcarea ed in parte alluvionali e crescono ad un’altezza di settecentocinquanta metri sul livello del mare, a poco distanza dal fiume Duero, che tempera i rigori invernali e la calura estiva. Tali vitigni, concimati in maniera totalmente organica, hanno una bassissima resa per ettaro (circa 22 hl/h) grazie all’utilizzo intensivo della “potatura verde” che riduce la produzione di uva a meno di due chilogrammi per ceppo. Dopo aver effettuato la fermentazione alcolica che dura circa 15 giorni, il vino svolge la malolattica in legno e rimarrà all’interno dei tini riposando e chiarificandosi per al massimo un anno. Il processo di affinamento dell’ ”Unico” è particolarmente lungo e meticoloso e prevede due peculiarità: il vino, infatti, dopo il processo di fermentazione viene dapprima passato in barrique nuove assemblate sul posto nel laboratorio del bottaio, poi nelle vecchie botti della Maison Radoux e infine, prima di essere imbottigliato, in grandi botti di legno. Il vino imbottigliato rimarrà in affinamento per almeno altri tre anni.
Altra peculiarità è che non esiste, comunque, nessuna regola commerciale o periodica che impone il rilascio dei vini: la scelta si basa unicamente sulle decisioni dell'enologo che lascia maturare il vino nella botte per tutto il tempo che ritiene necessario a rendere unico il celebre vino di Vega Sicilia. È sufficiente pensare che nel 1991 fu immesso nel mercato l'annata 1982 insieme all'annata 1968. Mentre nel primo caso nove anni di maturazione si sono ritenuti sufficienti per considerare il vino pronto, nel secondo caso si è atteso per ben 23 anni. Il rigore produttivo di Vega Sicilia impone inoltre che nelle annate considerate di qualità non sufficiente - in genere due o tre volte in dieci anni - il vino Unico non viene prodotto.

Vega Sicilia, Unico, 1985: Di un bellissimo rosso rubino che non sembrerebbe denotare un vino vecchio di oltre venti anni, al naso parte un po’ chiuso ma, dopo una decina di minuti e qualche rotazione del bicchiere, si apre magnificamente su note di ribes nero, prugne, frutti di bosco, rovere, tabacco e spezie. In bocca è corposo, potente, quasi masticabile, con un finale interminabile giocato su note di frutta nera e spezie orientali. Bellissimo e giovanissimo.

Vega Sicilia, Unico, 1986: Anche qua di un rosso rubino che denota una grande gioventù, questo vino si presenta con sapori e aromi di prugne, confettura di frutti di bosco, cioccolato, anice e tabacco. Qualche note ferrosa e vegetale che va via man mano che il vino si ossigena. Al palato dimostra di avere classe da vendere con tannini bel equilibrati e supportati da una acidità ancora ben viva. Lunghissimo il finale che ritorna su note cioccolatose e floreali. Da bere subito dopo averlo stappato ma ancora meglio dopo 24 ore dall’apertura dell bottiglia. Un grande Unico!

Vega Sicilia, Unico, 1990: Rosso rubino concentrato, al naso è un caleidoscopio di profumi: si passa dalla note di confettura di prugna al caffè, dai sentori di scatola di sigari all’humus, dalle erbe aromatiche alla viola passita. Sono entusiasta di questi sentori così netti, marcati, avvolgenti. Alla gustativa il vino risulta essere ampio, possente, masticabile ma piacevolmente vellutato. Grande struttura per un grande vino che può essere tranquillamente lasciato in cantina e degustato di nuovo dai vostri nipoti. Mitico!

Vega Sicilia, Unico, 1995: Rosso rubino intenso, al naso è intenso con aromi di mora, mirtillo, ciliegia sotto spirito, sandalo, scatola di sigari, caffè, cuoio,liquirizia, viola passita e cioccolato fondente. In bocca è molto intenso, ricco, con un tannino ancora giovane che solo il tempo potrà smussare. Finale intenso giocato su ritorni di tabacco, caffè e ciliegia. Manca forse della struttura del 1990 ma è sempre un grande vino. Da aspettare con calma.

I vini della Heres: qualità sopra ogni cosa

Bella serata ieri sera al Crown Plaza di Roma dove la Heres ha presentato i vini che distribuisce in esclusiva per l’Italia. Buonissimo il livello medio qualitativo dell’offerta per questa piccola grande società che punta dritto alla qualità dei suoi prodotti.

Ho passato in degustazione i seguenti vini:

Domaine Joseph Voillot - Volnay 1er Cru Champans 2006: I vini di Voillot sono sensuali, eleganti, puri, e questo da me degustato è forse un vino che esprime al meglio le caratteristiche del produttore. Di un rosso rubino molto scarico, al naso stupisce per piacevolezza e semplicità olfattiva. Ha un frutto puro, intenso, fragrante: di fragolina di bosco, ribes e lampone. Bello il floreale con note di rosa canina. Al palato il vino è fresco, intenso, con un tannino da manuale e una corrispondenza gusto-olfattiva perfetta.

Domaine Joseph Voillot - Pommard 1er Cru Les Rugiens 2006: Questo Pommard è forse il più maschio dei tre vini di Voillot da me degustati. Di un rubino scarico, al naso presenta eleganti note di fruttini rossi, violetta e terra bagnata. In bocca è setoso, con un tannino elegantissimo e un finale lunghissimo.
Domaine Joseph Voillot - Volnay V.V. 2006: questo è un vino di una freschezza e di una bevibilità assurda. Elegantissimo al naso con note di ribes, fragola di bosco e geranio, in bocca è di buon corpo, dolcemente morbido e con una persistenza fantastica. Vino sicuramente non da meditazione ma che berrei a secchi (scusate il termine tecnico).
Domaine Mugneret-Gibourg - Vosne Romanée 2006: altro vino di una bellissima purezza olfattiva con belle espressioni di frutta rossa e lievi accenni di sottobosco e tabacco dolce. Ben bilanciato in bocca, con un tannino setoso, ha una bellissima persistenza finale.
Domaine Fourrier – Gevrey Chambertin 2006: un bellissimo village che concede subito il fruttato/floreale di ribes, ciliega e rosa canina più note animali di pelliccia. In bocca è morbido, ampio, con una bella persistenza al palato. E questo sarebbe un vino base?

Domaine Fourrier – Gevrey Chambertin 1er Cru Combe aux Moines 2006: un capolavoro che parte fortissimo con note intense di geranio, sensazione fruttate vive e crude di ribes e the nero. In bocca è intenso, ampio, elegante, con tannino avvolgente e un finale lunghissimo giocato su note fruttate. Da comprare a vagonate.

Domaine Bart – Marsannay Les Longeroies 2006: bel vino che presenta subito al naso note floreali di viola e rosa canina, seguite da piccoli accenni di frutti rossi maturi e cioccolato bianco. L’eleganza olfattiva è forse messa in discussione da una nota alcolica forse un pochino invasiva. Al palato è fresco, con tannini morbidi ben estratti, il finale torna su note floreali e fruttate molto piacevoli.
Tenuta delle Terre Nere - Etna Rosso Cru Guardiola 2006: continua l’ascesa qualitativa di questa bellissima realtà etna con un vino che presenta un naso ricco, balsamico, di macchia mediterranea e frutti rossi maturi. Rispetto al 2005 forse manca di quella mineralità tipica delle zone vulcaniche. In bocca è complesso, elegante, con una bella corrispondenza gusto-olfattiva. Altra bella espressione di nerello mascalese.
Tenuta delle Terre Nere - Etna Rosso Cru Calderara Sottana 2006: vino più potente del precedente dove il quadro olfattivo è giocato su note di frutta sotto spirito, macchia mediterranea e un fumè tipico del vigneto. La bocca è calda e potente anche se dominata da un alcol forse un poco da smussare. Bella trama tannica e un finale leggermente amarognolo. Da tenere sicuramente in cantina ed aspettare.
Le Macchiole – Scrio 2004: non sono amante del syrah ma questo vino ieri sera mi ha conquistato totalmente. Ha un naso incredibile, fantastico, giocato su note intense di rosmarino, salvia, eucalipto, alloro, seguite dai classici sentori fruttati e speziati. In bocca è rotondo,intenso, con un tannino perfettamente integrato ed un finale lunghissimo con ritorno di menta e pepe nero. Che grande vino!

Fattoria Petrolo – Galatrona 2005: non amo troppo questi vini dal gusto tipicamente americano. Naso dolcissimo di vaniglia, frutta rossa matura, violetta, tabacco dolce da pipa, pepe bianco, cioccolato al latte. In bocca è morbido, piacione, con un tannino setoso e un finale lungo giocato su ricordi di frutta e cioccolato. Per chi ama il genere.

Domaine Jacques Frédéric Mugnier: piccola verticale di Musigny

Dal 1863 questa proprietà famigliare ha sede presso Château de Chambolle-Musigny, dove occupava, fino al 2004, una superficie a vigneto di soli 4 ettari. Dapprima specialista di piattaforme petrolifere poi pilota di linea Frédéric Mugnier si è convertito da qualche anno alla viticoltura rilevando la direzione dell’azienda. Possiede delle vigne nel cuore di Chambolle-Musigny nelle migliori denominazioni del comune: Musigny, Bennes Mares, Les Amoureuses e Les Fuées. I suoi vini sono un modello di classicità, privilegiano la finezza e l’eleganza tradizionale dei vini di Chambolle. “Un grande vino è prima di tutto l’espressione di un vigneto; il territorio deve essere accompagnato e protetto dal vignaiolo nel pieno rispetto dell’equilibrio naturale. Per ottenere questo è nostro impegno praticare una viticoltura rispettosa dell’ambiente, cioè senza l’utilizzo di fertilizzanti industriali, diserbanti e insetticidi. L’uso di una coltura biologica o biodinamica prevede la convinzione che esistano dei prodotti buoni o cattivi. La nostra convinzione invece è che non esistano dei buoni prodotti, per questo è fondamentale limitarne l’uso al minimo vitale. Bisogna talvolta convivere con la presenza di malattie e parassiti per permettere il giusto equilibrio naturale. Anche in cantina evitiamo il più possibile gli interventi come estrazioni eccessive e la standardizazione creata dall’utilizzo del legno nuovo. L’obiettivo da raggiungere è quello di ottenere vini che siano l’espressione del territorio, dell’annata e soprattutto sinceri”.
Salendo la gerarchia delle denominazioni queste sono completate da una maggiore struttura, profondità e da un adattamento all’invecchiamento superiore. Les Fuées e Bonnes Mares, situate a nord del villaggio hanno uno stile più maschile con un attacco più potente e austero in gioventù e con una spiccata mineralità. Les Amoureuses e Musigny, situati a sud, sono più sottili e floreali con una lunga persistenza gustativa. Bonnes Mares è frutto di una striscia di 35 acri, le vigne più vecchie furono piantate nel 1961 metre il rimanente negli anni ’80. Racchiude le caratteristiche dei due comuni che si dividono questo Grand Cru: la solidità di Morey-St. Denis dove sviluppa aromi di frutti rossi a cui si miscelano le sfumature minerali e di sottobosco caratteristiche di Chambolle. Gli è necessario un invecchiamento minimo di 8-10 per potere esprimere tutto il suo potenziale; la produzione annuale varia dalle 900 alle 1′500 unità. Les Amoureuses è senza dubbio il più prestigioso Premier Cru di Chambolle-Musigny, in grado di rivaleggiare con i Grands Crus della Côte d’Or. La nostra parcella occupa 53 acri, dove i ceppi più vecchi hanno più di 60 anni. Il suo suolo è costituito da uno strato argilloso di 30-50 centimetri di spessore che ricopre delle rocce calcaree nelle quali le radici penetrano in profondità. Il vino presenta un perfetto equilibrio tra la ricchezza (intensità aromatica, struttura e persistenza gustativa) una grande delicatezza. È necessario concedergli almeno 7-8 anni di affinamento, ma se avete pazienza il potenziale d’invecchiamento supera certamente i 40-50 anni. La produzione annuale varia dalle 1′000 alle 2′500 annue.

Musigny è considerato come uno dei maggiori vini rossi della Borgogna, la parcella di proprietà è di 1.14 ettari interamente situata nella frazione detta Grand Musigny. Tutte le vigne furono piantate tra il 1947 e il 1962, il suolo varia a seconda dell’altezza della collina. La parte bassa è del tutto simile a quella di Les Amoureuses con una roccia che permette un veloce drenaggio. La parte più alta è formata da detriti calcarei che assicurano una buona riserva idrica rendendo questa parcella poco sensibile alla siccità estive garantendo ogni anno una maturazione completa e regolare. La cuvée prodotta evoca grande eleganza, profondità, intensità e una persistenza ineguagliabile. Questo grande vino si sviluppa lentamente, almeno 10 anni sono necessari per affinarsi; il suo potenziale d’invecchiamento nelle migliori annate è pressoché senza limiti. La produzione annua varia dalle 2′000 alle 5′000 bottiglie.

Di seguito trovate alcune note di una piccola grande degustazione effettuata col mio club:

2005 - Rosso rubino brillante. Naso incredibile caratterizzato da aromi di frutta rossa selvatica, violetta, roccia rossa, spezie esotiche, cioccolato amaro, caffè e sottobosco, in un avvolgente sensazione complessiva. Grande maestosità al palato, ricco, profondo e setoso. Esprime una progressione gustativa impressionante con un tannino non ancora perfettamente equilibrato e sorretto da una spina acida che, per quanto non immediatamente avvertibile, c’è, e permette al vino di distendersi in un finale lungo e avvolgente che ritorna su toni minerali e fruttati. Che dire? Forse oggi è ancora giovane, gli farà bene un ulteriore affinamento di 10 anni e, quando sarà adulto, rappresenterà un vero e proprio monumenti dell’enologia mondiale.

2004 – Rosso rubino intenso. All’olfattiva il vino esprime sensazioni di ribes, mora, ciliegia, caffè e sottobosco. In bocca è ampio, morbido, carezzevole con una rapporto tra parti dure e parti morbide in perfetto equilibrio. Finale interminabile che gioca sui toni fruttati e coccolatosi. Un vino anche questo da aspettare se si vuole dargli maggior eleganza, ma da bere con grande goduria anche oggi. Uno schiaffo a chi pensa che in vini del 2004 in Borgogna sono figli di un’annata minore. Solo chi sa ben lavorare in vigna sa produrre certi capolavori. Sempre.

2003 – Rosso rubino carico. Al naso si distinguono aromi maturi di frutti di bosco, cioccolato amaro e catrame. Qualche cenno balsamico. Da media a piena concentrazione all’attacco sul palato, acidità leggera, tannino ben modellato. Finale lunghissimo con retrogusto di carrube e fiori rossi passiti. Un vino da intense passioni.

Grazie a Stefano e Giorgio per il contributo sul Domaine (http://vinidiborgogna.wordpress.com)

Verticale storica di S.Leonardo: l'eleganza nel bicchiere

Ve lo dico subito, questo post non è obiettivo. Volete sapere perché? Semplice, andrò a descrivere una pura emozione, una emozione di tipo enoico che solo il S.Leonardo può darmi. Quindi, se volete sapere perché questo vino è il mio preferito, continuate a leggere, altrimenti…..

La Tenuta S. Leonardo si trova in Trentino, a metà strada tra i paesi di Masi e di Borghetto, nel cuore della Vallagarina, area che da Castel Beseno sopra Rovereto si estende verso sud sino a Borghetto, e compone una piccola comunità organica cementata da forti ragioni storiche, culturali ed economiche, posta nella parte più meridionale del Trentino, immediatamente confinante con la provincia di Verona.
La famiglia Guerrieri Gonzaga è proprietaria della Tenuta da oltre 200 anni, ma la storia del S.Leonardo risale a tempi molto più recenti ed ha un preciso nome e cognome: Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga che, dopo la scomparsa del padre, prese in mano le redini dell’azienda. Avvalendosi degli studi di enologia e delle esperienze maturate in Francia e in Toscana, e con i preziosi consigli di un grande esperto come il dottor Giacomo Tachis, primo grande enologo del S.Leonardo, Carlo Guerrieri Gonzaga ha cercato di valorizzare al meglio i suoi vini attraverso la scelta dei vitigni più adatti (il Lambrusco a foglia tonda, il Marzemino e il Teroldego hanno lasciato spazio ai vitigni dell'Haut Médoc quali Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot), la cura dei vigneti (adozione del sistema guyot ottenendo rese per ettaro da 50/60 quintali), l'attenta selezione in vendemmia, il rigore delle pratiche di cantina, la pazienza nell'affinamento, le straordinarie potenzialità di questo territorio e di creare, anno dopo anno, vini che ne rispecchino e ne esaltino il carattere peculiare.

Il San Leonardo è un classico “taglio bordolese” e nasce da un sapiente assemblaggio del vino di
tre uve, vinificate ed invecchiate separatamente: Cabernet Sauvignon 60%, Cabernet Franc 30%, Merlot 10%. Dopo una permanenza in piccole vasche di cemento, dove viene avviata la fermentazione malolattica, i vini trascorrono almeno sei mesi in botti di rovere di Slavonia da 60 ettolitri per poi sostare in piccoli fusti di rovere francese, nuovi, ma anche di secondo e terzo passaggio, per un periodo di 24 mesi. Prima dell'imbottigliamento viene effettuato il taglio e le esatte proporzioni vengono decise solamente dopo una severissima degustazione barrique per barrique (in questa fase sono estremamente preziosi la lunga esperienza e il talento di grande assaggiatore dell’attuale enologo, Carlo Ferrini). Prima della commercializzazione il vino viene affinato in bottiglia per almeno 18 mesi. San Leonardo è prodotto solo nelle annate che assicurano un risultato qualitativo all'altezza e quando tutti gli elementi assicurano di poter ottenere un vino di grande personalità e carattere. Per questo motivo sono stati "saltati" millesimi come il 1984, il 1989 (annata grandissima in Piemonte e a Bordeaux ma non in Trentino), il 1992, il 1998 e il 2002.


LA DEGUSTAZIONE

Nella splendida cornice del Parco dei Principi di Roma, alla presenza del Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga e dell’enologo Carlo Ferrini, si è svolta una bellissima degustazione di 16 annate di S.Leonardo:

1985 - Rosso granato con riflessi arancio. Al naso il vino presenta sentori terziari di cardamomo, tabacco, china, cappero, lievemente salmastro. La bocca è sapida, levigata, con un tannino ormai alla fine della corsa ma sostenuto ancora da una buona spalla acida. Chiude con lievi note di scorza d'arancia. Elegante nonostante tutti gli anni.

1986 - Rosso granato, più cupo rispetto alla precedente annata. All’olfatto il vino ha netti sentori di goudron, catrame e cuoio; più maschile dell'85. In bocca il vino è maggiormente tannico rispetto alla precendente annata pur avendo meno acidità e meno persistenza. Grande potenza anche se stona una una nota troppo alcolica nel finale.

1987 - Rosso granato scuro. Il naso, poco espresso, gioca su note di prugna, salamoia ed ematiche (ferro?). In bocca il vino è un compendio dei precendenti assaggi in quanto presenta una acidità vibrante, come il 1985, e una buona potenza alcolica, come il 1986. Chiude con buona persistenza e sapido.


1988 - Rosso granato compatto, senza alcuna unghia aranciata. I naso viene pervaso immediatamente da una bella nota balsamica, seguita da sensazioni di frutta rossa in confettura e note affumicate. Splendido alla gustativa con una bocca elegante e un tannino fine sorretto da una buona acidità. A detta dell'attuale enologo Carlo Ferrini un San Leonardo didascalico nella sua prima grande annata.

1990 - Rosso granato. Al naso arrivano di nuovo le sensazioni mentolate, seguite da accenni di humus, terra bagnata e rabarbaro. Bocca molto ricca, strutturata, densa, con tannini avvolgenti sorretti da una acidità meno vibrante rispetto al 1988. Finale lungo con reminiscenze di tabacco e accenni minerali.

1991 - Rosso granato con lieve sfumatura mattonata scura. All’olfattiva il vino si presenta con aromi Al di tabacco scuro,cuoio, fungo, sottobosco. Manca stavolta la vena balsamica. In bocca è avvolgente, sapido, con un tannino e la nota alcolica in evidenza. Elegante nonostante il peccato della scarsa persistenza in bocca.

1993 - Rosso granato scuro. Al naso ritorna in maniera prepotente la bella nota balsamica, seguita da sentori di tabacco da pipa, scorza di arancia, tamarindo e legno di cedro. Attacco gustativo di gran classe ed eleganza caratterizzata da un tannino finissimo sorretto da una bellissima vena acida. Superiore ai precedenti. Da paragone.

1994 - Granato leggermente scarico. Naso leggermente chiuso dove trapelano note minerali e di china molto fresche che vanno a fondersi ad una sensazione di affumicato. Nessuna nota balsamica. Alla gustativa il vino è morbido e si amplia in bocca attraverso una bella nota sapida. Chiude non troppo persistente su note minerali.

1995 – Color granato scuro. Al naso torna la bellissima note mentolata seguita da aromi di tabacco a cui seguono rabarbaro, tamarindo, erbe officinali, noce moscata e chiodo di garofano. Palato importante: Palato importante: l'impatto è dominato da acidità e tannini avvolgenti, acui fa seguito un bel ritorno di frutta. Giovane, ancora da aspettare per qualche anno.

1996 - Granato cupo. L’olfatto gioca su note ben distinte di china, caffè e un chiaro sentore mentolato che ricorda l'After Eight . La bocca ha una buona corrispondenza al naso e tutta la struttura del vino si caratterizza per il grande equilibrio. Pronto.

1997 - Rosso rubino tendente al granato. Naso intenso in cui spiccano eucalipto e ginepro. Ad una seconda olfazione escono le note di frutta nera, cuoio e leggeri sentori speziati. La bocca è elegantissima, calda, caratterizzata da tannini morbidi, dolci e carezzevoli e da una chiusura molto persistente su note agrumate. Di maggior struttura rispetto alle annate precedenti. A detta dell'enologo il paradigma di ciò che vuole ottenere dal San Leonardo nel futuro.

1999 - Rosso rubino tendente al granato. Naso dominato ancora una volta da sentori di eucalipto, seguiti da sentori minerali, tabacco e prugna. Alla gustativa il vino è ricco, polposo, con un tannino evidente anche se leggermente slegato se paragonato all’annata precedente. Chiude di media persistenza su ricordi minerali.

2000 - Rosso rubino scuro. Vino che al naso, oltre alla “classica” note balsamica e di frutta rossa, comincia ad esprimere anche sentori floreali di viola. Alla gustativa presenta un tannino e un’acidità perfettamente integrati anche se si sente una nota alcolica che ricorda l’annata calda.

2001 - Rosso rubino. Naso su note medicinali, mentolate poi appena fruttato e speziato. Caratteristico. In bocca ha buona struttura e morbidezza anche se ancora si percepisce una barrique ancora non completamente digerita. Chiude con grande persistenza su ricordi fruttati.

2003 - Rosso rubino inteso. Naso che gioca su sentori di ribes, mirtillo, di prugna secca e di note note balsamiche come la clorofilla e la menta, per poi continuare con note di erbe aromatiche. La bocca risulta essere di gustosa tessitura, polposa, caratterizzata da una sapidità che si percepisce nettamente. Un'altra interpretazione del San Leonardo con un maggior estratto dovuto all’annata che va a discapito, forse, di una snellezza di beva che verrà col tempo.

2004, non in commercio - Rosso rubino. Naso che gioca su effluvi di grafite, eucalipto e su note ancora poco espresse di frutta rossa. Armonico al palato, il vino possiede una buona progressione gustativa e sembra, nonostante l’età, che le sue componenti strutturali siano già perfettamente equilibrate. Di buona persistenza, chiude su note fruttate.

Grazie al sito della Tenuta S.Leonardo per il contributo di contenuti e immagini.

Etna Rosso "Guardiola" TERRE NERE 2004: un altro grande vino dell'Etna

E' nel cuore del mediterraneo che nasce questo vino, bevanda che, alle pendici del vulcano più alto d’Europa, l’Etna, trova una delle sue massime espressioni. Salvo Foti, importante consulente enologico siciliano e profondo conoscitore della regione etnea, in un articolo apparso su Porthos (www.salvofoti.it), spiega le caratteristiche della vitivinicoltura del vulcano, peculiarità che ci permetteranno, successivamente, di comprendere il vino degustato.

Nella regione etnea esistono delle sostanziali differenze climatiche, non solo rispetto al resto della Sicilia, ma anche tra una zona e l'altra del vulcano. Ciò è dovuto al fatto che esso si sviluppa su una superficie troncoconica e alla vicinanza del mare. La particolare giacitura dell'Etna influenza profondamente il clima, nei diversi versanti, mediante due fattori: l'altitudine e l'esposizione. Questi, correlati tra di loro, danno origine a differenti microclimi e quindi a diverse microzone più o meno vocate, per la coltivazione della vite, anche all'interno di uno stesso versante del vulcano. Nella zona etnea si trovano rappresentati, nel giro di alcune decine di chilometri, paesaggi naturalistici ed agricoli che vanno dal sub tropicale a quelli prettamente montani. L'uomo, nella selezione che ha svolto sui vegetali destinati alla coltivazione, ha dovuto tenere conto, oltre alle esigenze tecniche e commerciali, della particolarità degli ambienti etnei. Tant'è che i vitigni selezionati (autoctoni) dal viticoltore, nei secoli, per i diversi ambienti dell'Etna, tranne nel caso del Nerello Mascalese diffusosi nel resto della Sicilia, sono coltivati esclusivamente nel territorio etneo o addirittura solo in alcune contrade di esso. Significativo è il periodo della vendemmia dei vitigni autoctoni etnei, che sull'Etna inizia un mese dopo (ottobre) rispetto al resto della Sicilia.
Sull'Etna si possono considerare tre grandi zone elettive per la coltivazione della vite. La prima è quella compresa tra i 400 e i 900 m.t. s.l.m., nel versante rivolto ad est, la seconda è quella compresa tra i 400 e gli 800 metri s.l.m., nel versante rivolto a nord e la terza fra i 600 e i 1000 m.t. s.l.m. nel versante rivolto a sud. Al di fuori di questi limiti altimetrici si va, quasi sempre, incontro a difetti o eccessi di alcuni costituenti fondamentali delle uve, con conseguente decadimento qualitativo dei vini prodotti.
Il Clima
Il clima della zona etnea, oltre ad essere diverso da quello siciliano, cambia in relazione al versante del vulcano ed all'altitudine. Nella zona interessata alla viticoltura, si registrano temperature medie più basse rispetto a quelle dell'Isola. Le temperature minime, specie nel versante nord, in inverno e anche nel periodo dell'inizio germogliamento, non di rado scendono sotto lo zero, potendo così arrecare qualche danno alla vite. Le temperature massime in estate non sono quasi mai elevate. Particolarmente interessante, dal punto di vista enologico, è l'elevata differenza di temperatura (escursioni termiche anche di 30°) che si registra nel periodo primaverile-estivo. Una differenza sostanziale rispetto al resto della Sicilia si ha nel caso delle precipitazioni: dipendono dal versante e sono molto più elevate nella parte est del vulcano che nord e sud. Le piogge, praticamente assenti in estate, sono per lo più distribuite nel periodo autunno-inverno e non di rado in concomitanza con il periodo vendemmiale: questo in alcune annate e per certe zone può essere un fattore limitante della maturazione e della sanità delle uve.
I Terreni
La natura del terreno della zona etnea è strettamente legata alla matrice vulcanica. Può essere formato dallo sgretolamento di uno o più tipi di lava, di diversa età e da materiali eruttivi quali lapilli, ceneri e sabbie. Lo stato di sgretolamento e la composizione delle lave e dei materiali eruttivi da origine a suoli composti, o da particelle molto fini (terreni di Verzella, Caselle), o formati da tantissimo scheletro di pomice di piccole dimensioni (Monte Serra, Monte Gorna nel versante sud-est), detto localmente "ripiddu", con capacita' drenante molto elevata. I terreni vulcanici etnei sono a reazione sub-acida, ricchi in microelementi (ferro e rame) e mediamente dotati di potassio, fosforo e magnesio. Sono poveri in azoto e calcio.
Versanti e contrade
In ogni versante dell'Etna si possono ancora ammirare le migliaia e migliaia di terrazze in pietra lavica, sovente senza più viti, che l'uomo ha costruito per conquistare i terreni più impervi, ma spesso i migliori per la qualità. Le Terrazze dette " i custeri" mantenute dai neri muri "a crudu", cioè a secco, chiazzati di licheni e muschio "u lippu" con le "rasole" stradine livellate su i muri stessi, armonicamente integrate con l'ambiente.

Ed è proprio nella parte Nord del vulcano che si producono i rossi più importanti e qualitativamente migliori dell'Etna. La Tenuta delle Terre Nere di Marc de Grazia, famoso importatore di vini, si trova proprio su questo versante. I vini sono prodotti da vigneti che si trovano in tre cru: Guardiola, Calderara e Feudo di Mezzo. Il vigneto Guardiola, di circa due ettari, è situato tra gli 800 e i 900 metri sul livello del mare ed è coltivato per il 98% a Nerello Mascalese e per il restante a Nerello Cappuccio, entrambi con età media delle piante di 100 anni. Il processo di vinificazione prevede una macerazione sulle bucce per 10-15 giorni, una fermentazione malolattica e un successivo affinamento in rovere (25% legno nuovo). Il vino viene imbottigliato senza filtrazione dopo 18 mesi.

Il vino, di un bel color rosso rubino intenso, presenta al naso una bellissima nota di macchia mediterranea, sembra di camminare in un campo di mirto e corbezzolo. Ruotando di nuovo il vino nel bicchiere escono poi dolci sensazioni di frutta rossa di rovo, scorza di arancia e viola. A chiudere, degli accenni ferrosi e iodati, tipici della zona e del terroir etneo.

In bocca ha buon attacco, complessità, con una fitta trama tannica che sembra ricordare il nebbiolo. Chiude molto lungo su note sapide e minerali.
Il Guardiola, concludendo, è un vino che molti accostano come note degustative ad un classico borgogna, anche se per me è, e rimarrà, uno splendido esempio di vino siciliano, un vino che ha personalità e sensualità da vendere, figlio di un'uva autoctona di grandissima eleganza e di grande futuro enologico grazie alla presenza nel territorio di tanti produttori in fermento che, finalmente, puntano su una viticoltura di qualità. Se proprio dobbiamo raffrontare il Nerello Mascalese ad un Pinot Noir allora ben venga il confronto, purchè gli italiani sappiano in questo imparare dai francesi che, nel corso degli anni, hanno saputo valorizzare un territorio e un vitigno puntando sulla costanza qualitativa. Ce la faremo a trasformare Randazzo in una sorta di Vosne-Romanée?