Caro Babbo Natale ti scrivo.....


Caro Babbo Natale queste, così mi dicono, sono Feste di crisi per cui, adeguandomi, dovrò chiederti solo pochi regali. Pochi ma buoni eh!
La prima cosa che desidero è che tutti i media, soprattutto quelli bacucchi, evitassero anche quest’anno di propinarci i dati circa la presunta sfida tra Champagne e Spumante italiano. Non ce la faccio più a sentire proclami nazionalistici circa la presunte maggiori vendite del nostro metodo classico. Sai, Babbetto mio, la quantità spesso non significa qualità.

L’altro regaletto che vorrei è che il prossimo Febbraio, a Montalcino, si evitasse una pioggia di stelle simile a quella di San Lorenzo. Sai, caro Babbo Natale, ci sono anche le annate di merda per cui sarebbe opportuno, in tempi di austerity, essere più onesti con se stessi e col mercato. Magari vendi il tuo sangiovese (?) a dieci euro in meno e fai contenta tanta gente in più. Dei giornalisti fottitene.

Un altro desiderio sarebbe quello di mandare in esilio Luca Maroni per qualche anno, diciamo fin quando l’Italia non ripiana il debito pubblico. Mi va di traverso il torrone quando questo signore, per pubblicizzare Sensofwine 2012, dichiara che “…il vigneto regionale lo stato di salute e' ''eccezionale. Siamo davanti ad un anno di ulteriore crescita, sia nelle produzioni base che nei picchi. E' un momento di grazia per i produttori del Lazio, e i ristoratori rispondono bene, dimostrandosi pronti a mettere in carta i nuovi vini laziali”. Babbo Natale un piccolo sforzo lo fai per me?

Se non sono invadente vorrei aggiungere alla letterina quelli che…il naturale fa figo. Premesso che sono d’accordo con loro nel salvaguardare la Terra, il mio desiderio per il 2012 è di far capire a queste persone che c’è gente seria anche tra i loro nemici “convenzionali” che oggi sembrano esser visti come degli unturi. Babbo Natale mio come si fa a spiegare alle varie associazioni naturali che anche tra il loro vino c’è della merda e che non bevo merda, in generale, solo perché “non ce metto gniente dentro”. Ops, Babbo, ma si può dire merda?

L’ultima cosa me la concedi? Ti prego, mi metto in ginocchio sopra una tappeto di fagioli di Controne, regala un Ipad a Franco Ricci. Magari all’inizio gli sembrerà uno specchietto utile per togliersi i “tarzanelli” dai denti ma poi, vedrai, arriverà qualcuno, spero un altro suggeritore di fiducia, che gli spiegherà che premendo un solo tasto quella cosa piatta si illuminerà di immenso connettendolo col futuro. Ah, caro Babbo Natale, attaccaci un post-it di spiegazione vicino perché quasi sicuramente, pensando di esser dentro la pubblicità di Vodafone, cercherà Totti ed Ilary con la bottiglia di Romanzo in mano. 

Caro Babbo Natale, sono stato troppo esigente, un visionario, oppure il prossimo anno qualcosa cambierà? Intanto, tanti Auguri a tutti voi!
 

Ciao Franco!


Ci siamo visti poche volte però quelle mi son bastate per capire che eri una grande persona..in tutti i sensi. Riposa in pace.

Franco Solari Foto: Luciano Pignataro

Daniele Cernilli cosa penserà dell'editoriale di Ricci su Bibenda?


Mi riferiscono, perché io non frequento, che hanno lanciato la moda di giudicare il vino e parlarne in maniera interattiva con più persone, scambiandosi pareri positivi o negativi di quella e di quell’altra etichetta. Insomma, delusioni o esaltazioni di Barolo o di grandi Champagne, vengono trasmesse da una stanza, seduti davanti a un computer.  

Una visione distorta del vino, diciamo noi, abituati a far capire il meraviglioso prodotto, dalla Sicilia al Piemonte, nelle aule dei nostri corsi, avvezzi ad assaggiare insieme lo stesso vino e, soprattutto, in uguale bicchiere... Siamo profondamente convinti che non si possa parlare opportunamente e tecnicamente di un vino semplicemente sulla base del ricordo d’averlo bevuto.

Riflettendo ieri a mente fredda mi è venuto in mente che Daniele Cernilli, amico e collaboratore di Ricci, non dovrebbe essere molto d'accordo con le parole del patron di Bibenda visto che proprio l'ex direttore del Gambero Rosso, ora responsabile della comunicazione di AIS, ha un interessantissimo wine blog dove non solo si parla di vino virtualmente ma, pensate un pò, i lettori possono anche commentare un articolo disquisendo di delusioni o esaltazioni di Barolo o di grandi Champagne. 

Ma a Ricci lo hanno informato di tutto ciò perchè, a mio modesto parere, questo è un altro autogol provocato dall'editoriale. A meno che Cernilli sia immune da tutto ciò....


L'editoriale di Bibenda che non avrei mai voluto leggere.


L'avevo rimosso come un brutto sogno ma Andrea Federici mi ha fatto ripiombare nell'incubo di Natale: l'editoriale di Franco Ricci all'interno dell'ultimo numero di Bibenda
Poche righe, tante inesattezze e una figura da ignorante (come lui stesso ha ammesso) che un uomo del suo ruolo avrebbe dovuto evitare. Cosa ha scritto lo trovate di seguito.

ADESSO CI SI METTE PURE IL VINO! 

Oramai il messaggino, o meglio l’SMS, ha sostituito tutto, o quasi. Pur nella sua brevità, ha sostituito la lettera, il biglietto di auguri, la telefonata, una sana litigata e tanto altro.
Certo, è una considerazione ormai fatta e rifatta, in questi ultimissimi anni.

Passi pure, purtroppo, tutto questo, anche perché nessuno potrà far tornare in auge il biglietto d’auguri. Ci danno pensiero, però, altri tipi di messaggi: alcuni navigatori della rete, ad esempio, anziché apparecchiare la tavola aspettando gli amici, per servire un piatto caldo e un bel bicchiere di vino per viverne insieme qualità ed emozioni, quel bicchiere se lo bevono invece virtualmente.
 
Mi riferiscono, perché io non frequento, che hanno lanciato la moda di giudicare il vino e parlarne in maniera interattiva con più persone, scambiandosi pareri positivi o negativi di quella e di quell’altra etichetta.
Insomma, delusioni o esaltazioni di Barolo o di grandi Champagne, vengono trasmesse da una stanza, seduti davanti a un computer.
Una visione distorta del vino, diciamo noi, abituati a far capire il meraviglioso prodotto, dalla Sicilia al Piemonte, nelle aule dei nostri corsi, avvezzi ad assaggiare insieme lo stesso vino e, soprattutto, in uguale bicchiere... Siamo profondamente convinti che non si possa parlare opportunamente e tecnicamente di un vino semplicemente sulla base del ricordo d’averlo bevuto.

Ma forse va bene anche questo? L’importante è parlarne del vino!
Quello che invece non va bene è che questi scambi “culturali” avvengono soprattutto durante il giorno, durante un orario in cui normalmente la maggioranza si trova al lavoro. Forse è noia, o poco interesse del proprio mestiere, fatto sta che al posto di archiviare pratiche in un qualunque ufficio di una qualunque Compagnia di Assicurazioni o di compilare della modulistica in un altro qualunque ufficio di un qualsiasi Ministero, il signor X parla del vino con altri colleghi collegati.
L’importante è che passi il tempo della noia del proprio lavoro. Senza sapere, o forse sì, che tutto ciò è reato.

Ora, visto che Ricci si confessa estraneo al mondo del web 2.0, il mio pensiero va a quelle persone che gli riferiscono certe cose perchè, se l'ignoranza è scusabile, la malafede un pò meno. 

Prima inesattezza: gli riferiscono che è stata lanciata la moda di giudicare il vino e parlarne in maniera interattiva con più persone, scambiandosi pareri positivi o negativi di quella e di quell’altra etichetta. Vorrei dire al suggeritore di Ricci che i forum sul vino esistono da diversi anni, forse 10, e che il fenomeno è tutt'altro che una moda. Forse è il futuro. Chi ha suggerito questa cosa a Ricci magari ha acceso il computer ieri.

Seconda inesattezza: il vino ce lo beviamo invece virtualmente anzichè con gli amici. Il suggeritore di Ricci deve sapere che ogni vino che viene recensito e condiviso su internet è stato bevuto realmente, il 99% all'interno di cene o degustazioni dove invitiamo tanti amici appassionati.Basta andare alla sezione Eventi del Forum del Gambero Rosso. Non ci facciamo seghe virtuali, grazie!

Terza inesattezza: non si può parlare tecnicamente di vino sulla base di un ricordo. Il suggeritore di Ricci deve sapere che esiste il blocchetto degli appunti su cui scrivere immediatamente le impressioni della bevuta. Ah, questo se sei un vecchio che ama la carta. I più cool hanno il telefono connesso ad internet e scrivono i loro appunti in tempo reale...

Quarta inesattezza: scriviamo dall'ufficio commettendo reato. Il suggeritore di Ricci forse pensa che siamo tutti figli della pubblica amministrazione e magari ignora che esiste del tempo libero (non si lavora 24 ore al giorno) a cui dedicare la propria passione. Basta un'ora, non di più.

Spero davvero, come scrive Andrea Federici, che qualcuno si accorga dell'autogol e faccia fare a Ricci pubblica ammenda. La finisco qua va che altrimenti commetto davvero reato....



Franco Maria Ricci e la futura rivoluzione AIS BIBENDA


Alla fine se ne sono accorti anche loro che c'è un pò di confusione quando si parla di AIS, Bibenda e tutti gli annessi e connessi. Ecco quello che scrive Ricci su Bibenda 7: 

Pochi giorni fa si è tenuta a Milano la Riunione dei Delegati dell'Associazione Italiana Sommelier. Il Presidente Antonello Maietta in apertura ha evidenziato quanto AIS sia un marchio pericolosissimo per la sua riconoscibilità.
Infatti, ne ha fotografato una decina che avevano lo stesso acronimo: c'era AIS Associazione Italiana Sociologia, c’era Associazione Italiana Soccorritori, c'era Associazione Italiana Strumentisti ma anche Ambiente Igiene e Sicurezza...
Mentre Antonello parlava ai Delegati il mio pensiero è andato immediatamente al nostro lavoro, pensiero che negli ultimi anni è divenuto costante e martellante, per il successo del brand.
L'ultimo "strafalcione" della comunicazione, in ordine di data, è del 9 Dicembre scorso su IL TEMPO di Roma, dove una notizia su DUEMILAVINI è stata titolata: "In libreria le guide Ais vini e ristoranti" (sic!).
Ma non è soltanto Ais a non dare chiarezza di comunicazione, per DUEMILAVINI va anche peggio.
Il nome, soltanto per pochi informati intimi significa il riferimento all'anno di nascita 2000. Per gli altri si tratta della selezione di n° 2.000 vini. Poi, e solo poi, si scopre che invece sono 16.500 e oltre. E questo nonostante sia la Guida più amata e più venduta in Italia.
Decisione immediata: dal 2013 si chiamerà BIBENDA e avrà nuovi contenuti e un nuovo look. Per Ais ci stiamo pensando. 

Secondo me Ricci si prenderà tutta l'AIS, prima o poi lo farà e tutto verrà messo sotto Bibenda Holding....


Critical Wine: il mercato dei contadini critici al Forte Fanfulla di Roma


Guardate attentamente le foto sottostanti perchè vedrete etichette e volti "diversi", lontani dalle luci della ribalta perchè spesso e volontieri non fanno "enofighetto" o  magari perchè non hanno i mezzi per farsi pubblicità


Questo, ad esempio, è Giovanni dell'azienda agricola Il Casale, una piccola realtà biologica incastonata nella Montagnola Senese che produce, a mio parere, un ottimo Chianti dei Colli Senesi.

Giovanni dell'azienda agricola Il Casale
Al Fanfulla Giovanni ha portato varie etichette tra cui spiccava un Chianti Riserva 1999 di grande profondità ed ampiezza che, bevuto alla cieca, potrebbe far sobbalzare dalla sedia più di un esperto. Il costo? 14 euro.

Andrea Andreozzi
Questo sopra è Andrea Andreozzi de I Botri di Ghiaccioforte, azienda bio di Scansano che per prima è uscita dalla DOC e DOCG per confluire nella DE.CO tanto cara a Veronelli. Il loro Nero di Scansano Vigna I Botri Riserva 2007 (100% sangiovese) è un vino caratteriale che, con questa annata, punta molto sulla dinamicità e sulla succosa acidità. Davvero ben fatto, bevibilissimo e per quanto costa, circa 10 euro, sarebbe un ottimo regalo di Natale per appassionati.

Emilio Falcone - La Busattina
La Busattina, azienda agricola biodinamica condotta egregiamente da Emilio Falcone e sua moglie, è un vero e proprio microcosmo contadino che oltre ad ottimo vino produce anche olio d'oliva, coltiva cereali antichi ed alleva bestiame di antiche razze in via d'estinzione. Dalle uve coltivate nei loro 25 ettari di tenuta (Sangiovese, Ciliegiolo, Trebbiano, Malvasia, Ansonica) producono vari vini tra cui il San Martino 210, bianco di Maremma IGT, che invade il bicchiere di note fruttate e floreali per poi passare a tocchi di miele di acacia e soffi di intensa mineralità. La bocca è acida, sapida, minerale, intensa e persistente. Che altro volere da un bianco toscano di qualità?

I Calcabrina
La foto precedente invece mostra Diego e Angelo Calcabrina, due giovani ragazzi hanno pensato bene di declassare il loro Sagrantino uscendo dalla DOCG per produrre il loro Vino da Tavola Rosso. L'annata che ho degustato, la 2007, mi ha conquistato per i profumi di frutta di rovo e radici e per una freschezza e bevibilità che non risulta affatto compromessa nonostante il tannino tipico dell'uva. Qualcuno che siede sul piedistallo di alto di Montefalco dovrebbe prendere esempio da questi piccoli vignaioli. Nota importante: notare la bella confezione del vino con tanto di valori nutrizionali e spiegazione dei solfiti.


La Fattoria Cerreto Libri ha invece presentato un interessante Chianti Rufina 2006 che, nello stile del terroir di quella zona, ho trovato austero, rigoroso, scuro, di ampio respiro anche se lontano dalle vette stilistiche del Vigneto Bucerchiale. Una conferma comunque che la Rufina, se valorizzata, può dar vita davvero ad ottimi Chianti.


Chiusura per un vino molto amato da Brera e Veronelli: il Gaggiarone, blend di Croatina (90%) e Uva Rara (10%) prodotto dall'Az. Agricola Alziati Annibale. Il vino prende il nome da una vecchia vigna di quaranta anni esposta a sud ovest su un declivio a forte pendenza, tanto estremo da lavorare quanto generoso in qualità, con un terreno in cui oltre ad argilla si riscontra anche presenza di tufo. Il Gaggiarone è opulenza selvatica, equilibrio contadino e sana, elegante, rusticità.


Dominio de Pingus, l'esclusiva di Percorsi di Vino. Parte II.


Per chi si è perso la prima parte cliccare qua.

Patricia ci versa con cura nel bicchiere l'annata 2010 e la 2009 che andrà in bottiglia in questi giorni.

Barrique di Pingus 2009
Due annate decisamente diverse che soddisferanno i palati dei vari degustatori: il primo millesimo, le cui uve sono state vendemmiate il 18 e 19 ottobre (due settimane dopo quanto accaduto nel 2009), ha un'anima decisamente soave, elegante, rispetta l'annata fresca e al naso si caratterizza per una grande complessità dove puoi cogliere ogni frutto rosso e nero che sta su questa Terra accanto ad una vena decisamente balsamica. 
In bocca capisci perchè molti in questo mondo si sono innamorati del Pingus: il vino è di un’avvolgenza incredibile, ha tannini maturi, sensuali, ha un equilibrio circense frutto di una sferzante acidità e una progressione inaspettata. Ok, per certi tratti può essere un vino anche "piacione" però posso assicurarvi che non è un prodotto da segheria arricchito da zuccheri. Tutt'altro, ha le sue spigolature che lo rendono molto attraente per i palati europei. 


Pingus 2010
L'annata 2009, altro grande millesimo, è stata più calda per cui il Pingus che mi ritrovo nel bicchiere è un piccolo mostro di materia che tridimensionalmente attacca i tuoi sensi lasciandoti basito, sorpreso, perché pensi di coglierlo in fallo ma invece sta là, in equilibrio sopra la follia come scriverebbe Vasco Rossi. Patricia ci dice che per lei questa annata presenta un Pingus da meditazione, da bere in silenzio accanto al fruscio del fiume Duero che, aggiungo io, ancora una volta ha tenuto a battesimo l’ennesima opera d’arte spagnola plasmata ad immagine e somiglianza di chi crede nella biodinamica e nell’eleganza innata delle vecchie vigne.  

Al nostro palato manca solo "Amelia", la cuvée speciale creata da 500 vigne centenarie che ogni anno riempie una sola barrique. Vorremmo chiedere dov'è ma non siamo troppo ingordi.

Pingus 2009
La nostra visita è finita, salutiamo con un forte abbraccio Patricia e Paula con la promessa di rivederci presto, chissà, forse a Roma. 
Usciamo e prima di entrare in mancchina, per l'ultima volta, giriamo lo sguardo verso quel luogo sospeso tra realtà ed immaginazione e cominciamo a cantare...

Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all'isola che non c'è.

E ti prendono in giro
se continui a cercarla
ma non darti per vinto perché
chi ci ha già rinunciato
e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te


Dominio de Pingus, l'esclusiva di Percorsi di Vino. Parte I.


Quintanilla de Onésimo è un puntino sulla nostra mappa, un posto di frontiera nella Ribera del Duero che per certi versi mi ricorda l'Italia del Sud degli anni '50. C'è un vecchio cinema che trasmette l'ennesima replica di un vecchio film, pochi negozietti dove entri e compri tutto, dalle lamette per rasoi non più in commercio al melone dell'orto della vicina. 

Il cinema di Quintanilla de Onésimo
E poi c'è lui, Pe­ter Sis­seck col suo Dominio de Pingus, la cui cantina è mimetizzata in una stradina secondaria del paesino. Trovarli è un'impresa, abbiamo solo l'indicazione che la struttura è bianca, a due piani ed è situata vicino al ponte sul fiume Duero. Basta. Non si vogliono far trovare, non amano la folla di enoturisti con tanto di pullman, la struttura può essere visitata solo da pochi come per pochi è il loro vino.

La struttura vista dall'esterno
Suono il campanello di una casa ma non so se è quella giusta, sulla targhetta non c'è scritto nulla, magari sto disturbando il sonno di un tranquillo vecchietto che rimanendo a casa sta sfuggendo al caldo di queste parti. Suono ancora, mi apre la porta Paula, il mio contatto, sono nel posto giusto. Evviva.

Peter Sisseck non c'è, è fuori per lavoro, Paula mi spiega che in Agosto è sempre in giro tra Danimarca e Stati Uniti. Faccio spallucce, non è un problema, so già molto di lui: Sisseck, nato a Copenhagen nel 1962, si è laureato all’Università di Bor­deaux e prima di costituire la sua azienda ha lavorato con suo zio, l'enologo Peter Vinding Diers, a Bordeaux (Chateau Raohul) e poi in California con Zelma Zong. 
Nel 1990 giunge in Spagna dove diventa enologo di Ha­cienda Mo­na­ste­rio (con la quale ancora collabora come consulente) ma la voglia di mettersi in proprio è talmente forte che nel 1995, dopo aver trovato ed acquistato vecchissime vigne di Tinto fino (tempranillo) nel piccolo villaggio di La Horra, fonda Dominio de Pingus.

Peter Sisseck
Ad accoglierci, oltre a Paula, c'è la sorridente Patricia, l'enologa "residente" dell'azienda che, per le due ore successive, sarà il nostro Cicerone. 
Iniziamo a parlare del tesoro di Pingus: le sue vigne. Non riusciamo ad andare a vederle di persona ma, mappa catastale alla mano, Patricia ci spiega che i circa cinque ettari di Tinto fino (tempranillo) si dividono nelle seguente parcelle: una in località San Cri­stó­bal (circa 1,2 et­tari con ceppi di ol­tre 70 anni), le al­tre due nei dintorni di Par­roso (una vigna di 2,5 et­tari con ceppi di ol­tre 60 anni e un’altra di circa 1 et­taro). 
I suoli sono sono ovviamente diversi, passano dall'essere estremamente calcari ad essere prevalentemente argilossi, tutti ricoperti di sassi. 



Inizialmente biologico, Dominio de Pingus dal 2000 si è convertito alla viticoltura biodinamica con rese per ettaro ridicole che, mediamente, non superano i 12 hl/ha (stiamo alla stregua di un grappolino per pianta) anche se, in certe annate, si è arrivati anche a 9...

Mentre la giovane enologa ci conduce in cantina, mi rendo conto che, riguardo l'azienda, sono entrato dalla porta con molti pregiudizi.
Mi aspettavo il fighettismo più assoluto mentre, al contrario delle altre Bodegas della zona, da queste parti tutto è a dimensione umana, tutto è assolutamente artigianale e (quasi) familiare. Quella poca tecnologia che ho visto ha riguardato il laboratorio di analisi chimiche che Sisseck ha voluto all'interno della struttura e che Patricia diligentemente dirige.

La cantina è semplice e rispetta la filosofia tutta al "naturale" di Pingus: una pressa rudimentale è affiancata da una manciata di tini d'acciaio (usati per il Flor de Pingus) e qualche botte di legno aperta usata per fermentare separatamente le varie parcelle di Tinto fino usato per produrre il Pingus. Stop, tutto qua. 

Tini di fermentazione in acciaio
Botti per il Pingus
Dopo la fer­men­ta­zione, che av­viene sia in tini di ac­ciaio inos­si­da­bile che in grandi tini di le­gno, la ma­lo­lat­tica si svolge in barrique nuove di Dar­na­jou e Taransaud dove il vino ri­mane da 18 a 20 mesi e non viene chia­ri­fi­cato né fil­trato. 
Ad Agosto, ovviamente, la malolattica era già terminata e il vino stazionava in legno in attesa di essere travasato nel successivo locale di maturazione. 

La sala dove si svolge la malolattica


E' ora di bere! Patricia comincia a farci degustare i vari campioni di botte del Flor de Pingus, 100% Tinto fino da uve acquistate da piccoli viticoltori della zona di La Horra. Le vigne sono vecchie, minimo 35 anni e la prima annata del Fleur è la 2005. 
Degustiamo l'annata 2010, abbastanza fresca, e prendiamo due campioni dalle barrique di Dar­na­jou e Taransaud perchè, ci spiega l'enologa, "il vino è diverso a seconda del tipo di legno che usiamo e prima di fare il blend definitivo assaggiamo ogni botticella per capire come esprimere al massimo il Flor de Pingus". Ovviamente ha ragione, il vino preso dalla barrique di Dar­na­jou è più caldo, potente, tannico, mentre Taransaud esprime caratteri floreali, femminili, sensuali. A prescindere dalle differenze questo tempranillo è tutt'altro che legnoso (pensavo peggio) ed è un piccolo mostro di elegante persistenza.
Non so come sarà il blend definitivo ma, se questo è il "secondo vino" della casa, mi aspetto che il Pingus sia strepitoso. Il prezzo deve valere la candela....o no?


Già, il prezzo, perchè Peter Sisseck di certo il vino non te lo regala, anzi, per qualcuno il pricing di quel tempranillo è scandaloso, non vale quanto costa e la sua mitizzazione è frutto di una astuta strategia di marketing dove c'ha messo lo zampino quel diavoletto di Robert Parker
Comunque sia la "leggenda" Pingus inizia nel 1995, anno in cui viene prodotta la prima annata, 325 casse che Sisseck prezzò subito arditamente a 200$ a bottiglia. 
La sua fortuna, però, la deve a Jeffrey Davies, un négociant di Bordeaux specializzato nella scoperta di "vin de garage", che portò qualche campione di Pingus '95 in Francia vendendolo "en primeur" alla stregua dei grandi bordolesi. Tutti impazzirono per quel vino, soprattutto Adam Brett-Smith di Corney & Barrow che, una sera, portò una bottiglia durante una cena presenziata da Robert Parker il quale, stando alle cronache, dopo aver bevuto il vino di Sisseck, saltò su dalla sedia esclamando:"One of the greatest and most exciting wines I have ever tasted"

Fonte: Vivino.com
Il conseguente punteggio di 96/100 attribuito da Wine Advocate aprì al rampante enologo danese le porte del paradiso anche se è solo un anno più tardi, nel novembre 1997, che il Pingus divenne un vino di culto. Quell'anno, infatti, naufragò al largo delle isole Azzorre la nave contenente tutte le casse di vino, ben 75, destinate agli Stati Uniti. L'effetto è cosa ben nota: il mercato americano impazzì letteralmente per la conseguente scarsità di vino e i prezzi aumentarono vertiginosamente arrivando a circa 500$ a bottiglia. 
I 100/100 dati da Robert Parker all'annata 2004 dichiararono l'impossibilità per moltissimi di acquistare il vino che oggi, valendo più di 1000 euro a bottiglia, è considerato da molti un bene speculativo.

Patricia non entra nell'ambito commerciale, non fa polemiche, guarda le barrique di Pingus come suoi figli e ci versa con cura nel bicchiere l'annata 2010 e la 2009 che andrà in bottiglia in questi giorni. 

Ci vediamo per la seconda parte!

Gli amanti del vino hanno i loro hotel. Sì, secondo Skyscanner


Il sito Skyscanner ha pubblicato un articolo dove sono menzionati i migliori cinque hotel al mondo per appassionati di vino. Vediamo se li conoscete....

Hotel Cheval, Paso Robles, California

Se siete informati sui vini californiani, probabilmente avete sentito parlare di Paso Robles, una graziosa cittadina a metà strada tra San Francisco e Los Angeles con una reputazione per l'enologia sperimentale e nonconvenzionale, in contrasto con la tradizionale vinificazione di altre parti della California. Proprio vicino al centro storico della cittadina si trova l'accogliente Hotel Cheval, luogo perfetto per visitare le cantine locali, con 16 camere ampie e confortevoli ed un cortile interno con un caminetto. Il suo Pony Club serve alcuni tra i migliori vini di Paso Robles e della California centrale. Paso Robles, oltre alle degustazioni i vino è ottimo per assaggiare dell'olio d'oliva di grande qualità e sapore.

Fonte: tracygallagher.com

 La Bastide de Marie, Menerbes, Francia 

Si tratta di uno dei boutique hotel più splendidi della regione, situato in una posizione ideale nel cuore del Parco Nazionale del Luberon tra Gordes e Bonnieux. Questa cascina del 18° secolo è circondata da 15 ettari di vigneti ed offre un ambiente splendido per un hotel davvero unico. La Bastide de Marie è il posto ideale se siete alla ricerca di una vista mozzafiato, accompagnata da un'ottima gastronomia ed un vino indimenticabile. La cucina è tradizionale, eccellente ma preparata in modo semplice, grazie al giovane chef Gerod Potron descritto come un 'Wonderboy' dalla rivista turistica Food. La proprietà ha anche la sua cantina ed cibo servito è spesso disposto proprio per completare i sapori del vino de La Bastide de Marie. Tra i calici più amati dagli ospiti ovviamente il rosè. Per chi volesse farsi coccolare, il centro benessere 'Pure Altitude' offre i trattamenti di lusso. 

Margaret River Hotel, Cape Lodge, Australia 

Mentre Margaret River produce il tre per cento dell'uva australiana, rappresenta però oltre il 25 per cento dei vini di alta qualità. Nel suo vigneto di proprietà, all'interno di una tenuta circondata da laghi e foreste, il Cape Lodge, oggi con 22 stanze e un tempo casa privata, è stato votato due volte come migliore 'boutique hotel' d'Australia. Produce un esclusivo sauvignon blanc e shiraz per gli ospiti dell'hotel e per il suo premiato ristorante, che vanta inoltre cantina da 14.000 bottiglie e con le migliori annate dai vigneti più prestigiosi. Il ristorante sul lago, gestito dal celebre chef Tony Howell, propone anche corsi di cucina e week-end gastronomici.

Fonte: sito Cape Lodge
Relais San Maurizio, Italia 

Pochi alberghi al mondo possono vantare una tale diversità tra le stesse camere e suite, come quelle di cui dispone l'albergo piemontese Relais San Maurizio. Le 30 stanze, alcune con giardino privato, sono state realizzate grazie al riammodernamento di un convento del 17° secolo, mantenendo però gli stessi spazi e dimensioni. Un luogo immerso nella terra dei vini, abbellito da splendidi giardini e che domina dalla collina il borgo di Santo Stefano Belbo, i vigneti del Barbaresco, Barolo e del Barbera sono a pochi chilometri di distanza. Il ristorante dell'hotel, citato nella guida Michelin e quindi non di certo a prezzo modico, offre una notevole varietà di vini con oltre 2.200 etichette. Nel complesso vi sono anche un bistro con terrazze panoramiche ed un trattamento benessere chiamato la 'Via del Sale'. 

Yeatman, Oporto, Portogallo 

Rendendo omaggio ai vigneti terrazzati più alti della valle, lo Yeatman a Oporto, una collaborazione tra i fondatori di Port Taylor (gestito dalla stessa famiglia dal 1692) e due aziende locali, è stato costruito lungo una riva scoscesa a sud del fiume Douro. Dispone di 82 camere spaziose, ognuna con il nome di un produttore di vino locale, ai quali è stato concesso di decorarle; alcune dispongono di un letto ottenuto da un immenso barile di porto. Tutte si affacciano verso la piscina a forma di decanter, il Douro ed il brulicante centro della città vecchia. L'hotel dispone di circa 25.000 bottiglie in cantina ed è sede della selezione più completa al mondo di vini da tavola portoghese e di porto. Perfettamente mescolati con il sapore intenso delle portate locali, proposte dal pluripremiato chef Ricardo Costa. Ogni Giovedi la cena è proposta da un produttore locale diverso e lo chef crea un menu su quattro dei suoi vini. Il tema del vino continua nel centro benessere Vinothérapie Caudalie, dove i trattamenti sono a base di uva.

Fonte: http://www.the-yeatman-hotel.com

Per me è tutta una mossa pubblicitaria anche perchè il miglior albergo per gli appassionati del vino è.................... Ed il vostro?

Fonte: http://www.skyscanner.it

Il vino da salotto fa diventare tutti enologi?


Essere enologo all'interno di cantine buie e un pò umidicce non è più di moda. Ora il vino fa figo e di questo se ne è accorta anche la designer olandese Sabine Marcelis che propone questo kit da salotto per diventare novelli Cotarella.


La domanda è: funziona sto coso???

Foto tratte da: Zillamag.com

Brezza d'Estate 2009 di Cascina I Carpini


Era da un po’ che non bevevo il Brezza d’Estate di Cascina I Carpini per cui, aperta la nuova annata 2009, la prima cosa che mi son detto mettendo il naso nel bicchiere è stata:”Cavolo, altro che Brezza, questo vino è un uragano di profumi!”
In effetti, rispetto al millesimo precedente, il primo prodotto, trovo questo timorasso dei Colli Tortonesi molto migliorato, più seducente nei profumi che inizialmente riportano alle erbe aromatiche per poi virare verso la mela limoncella, la susina, il fieno per poi sfoderare, una volta ossigenato, un’anima minerale di grande purezza.


All’assaggio non cambia una virgola, il timorasso si caratterizza per intensità con la preziosa rifinitura di guizzi freschi e sapidi che sostengono struttura e persistenza del vino. Sono curioso di capire come evolverà questo timorasso nel tempo per cui tre bottiglie me le tengo in cantina e, tra qualche anno, faccio una comparativa con i grandi nomi dei Colli Tortonesi come Walter Massa, Mariotto e Mutti. Penso proprio che Paolo Ghislandi accetti la sfida.
Ah, ultima nota tecnica: il Brezza d'Estate matura in vasche d'acciaio e affina in bottiglia per almeno 18 mesi.

“Quando il cardo fiorisce e da
un albero la cicala canora diffonde
l’armonioso frinire battendo
le ali, è giunto il tempo
dell’estate… All’ombra e con
il cuore sazio, beviamo allora
il vino generoso godendo del
dolce alitare di Zefiro sul viso.”
(Esiodo)

I vini di Collecapretta firmati Vittorio Mattioli


Girare le cantine di tutta Italia permette di conoscere persone vere, sincere, legate indissolubilmente al loro territorio che, durante la tua visita, cercano di regalarti offrendoti un bicchiere di vino. II loro vino.
Vittorio Mattioli, dell'azienda umbra Collecapretta, è un'altra di quelle persone speciali per cui vale la pena fare il wine blogger o, comunque, essere appassionati di vino.

Vittorio in mescita
Con Jacopo, Sara, Riccardo e la mia Stefy, siamo andato a trovarlo di ritorno da Spello e, nonostante fosse domenica pomeriggio, ci ha aperto le porte di casa sua come se fossimo amici da sempre.  
Di Collecapretta avevo sentito spesso parlare anche se, ci racconta Vittorio, è solo da cinque anni che l'azienda imbottiglia. I 5 ettari di vigneto di proprietà sono una sorta di fotografia di quello che era piantato prima della seconda guerra mondiale. Pertanto, oltre ai vitigni locali come il Trebbiano Spoletino (età 60 anni) e il Sangiovese (vitigno principale dell'azienda), ci sono Malvasia, Barbera, il Merlot e il Greco

Vittorio è un "naturale", non usa perciò erbicidi, pesticidi e diserbi e in cantina si praticano fermentazioni spontanee a temperature libere e non si aggiunge solforosa in imbottigliamento. I contenitori sono il vetro cemento, vetro resina e acciaio  mentre il legno grande è ancora in fase di sperimentazione. I travasi si effettuano in base ai cicli lunari e l'illimpidimento dei vini è affidato al rigore dell'inverno.

Questa opportuna premessa ci fa capire che, bere un vino di Collecapretta, potrebbe essere un'esperienza molto, molto interessante. Assieme a Vittorio e sua moglie abbiamo degustato:

Buscaia 2010 (malvasia bianca e malvasia di candia): vino di sole e sassi, come dice anche Jacopo, dove la componente minerale è piuttosto prevalente e fa da sfondo ad una cornice di frutta a polpa bianca e fiori di campo. Bocca succosa e sapida, a tratti salata, corroborata da una bella vena acida. Vino forse poco varietale ma di forte carattere. 


Vigna Vecchia 2010 (trebbiano spoletino in purezza): siamo di fronte ad un piccolo capolavoro umbro, un vino camaleontico e territoriale dove, man mano nel bicchiere, si affacciano cenni di erbe officinali, malva, timo, camomilla, frutta esotica, minerali bianchi. In bocca è materico, sapido, succoso, coerente col naso e persistente. Questo è il Trebbiano che ci piace!

Terra dei Preti 2009 (trebbiano spoletino in purezza): rispetto al precedente questo trebbiano è vinificato come un rosso con una lunga macerazione sulle bucce. Il colore è dorato, intenso, ed il vino si apre al naso con cenni di tartufo bianco, albicocca, cera, curry, zafferano, macchia mediterranea. Bocca sapida, intensa, fresca, dinamica. Buona la persistenza finale su ritorni di pesca matura e spezie orientali. Il Terra dei Preti testimonia come il trebbiano spoletino possa dire la sua anche con fermentazioni prolungate. Ottimo.

Il Rosato di Casa Mattioli 2010 (ciliegiolo in purezza): rosato atipico per chi, generalemente, beve liquidi alimentari tinti di rosa spacciati per vini. Qua Vittorio, nonostante le apparenze, mette al ciliegiolo l'abito rosso e fa di questo vino un prodotto di carattere con tanto ferro e terra al naso. Bocca vigorosa, maschia, ampia, generosa. Altro che vino per donne. Davvero una bella scoperta!


Il Galantuomo 2010 (barbera in purezza): il vitigno, di circa 40 anni, è stato portato dal nonno di Vittorio dopo che è tornato dal Piemonte dove ha fatto il militare. Strano provare una versione umbra del barbera però, nonostante i puristi storcano il naso, il vino che ne esce è estremamente piacevole visto che conquista il naso e il palato con la tanta mineralità e tocchi di frutta di rovo. Bocca tipica, acidia, sapida, diretta con un finale di ciliegia nera che appaga le mie papille gustative. Da provare alla cieca assieme a qualche versione piemontese, potrebbe sorprendere...

Sotto l'albero di Natale dei wine lovers c'è una vigna di Garganega!


Se siete a corto di idee in fatto di regali per il prossimo Natale, ecco un dono insolito da fare, o da farsi, a chi ama la natura e il buon vino: “adottare una vigna”, o più, nelle terre del Soave.

L'iniziativa, lanciata dalla Strada del vino Soave per promuovere il territorio, un giardino vitato di 6mila e 600 ettari disseminato di pievi, palazzi e castelli, consente di “adottare” un minimo di 50 viti di Garganega al costo di 100 euro all'anno. In cambio, il “viticoltore adottivo” avrà diritto a ricevere 12 bottiglie di vino Soave Doc all'anno, bottiglie che, a richiesta, potranno essere personalizzate nell'etichetta.

Fonte: immaginidinatale.it
Al di là di poter gustare un ottimo bianco, la verde adozione darà soprattutto l'opportunità al vignaiolo a distanza di visitare la “propria vigna” in ogni stagione, previo accordi con la Strada e il produttore socio che ha reso disponibile l'adozione nel proprio vigneto. L'adozione della vigna diventerà così un buon motivo per trascorrere un fine settimana nelle colline del Soave, magari per aiutare a potare, vendemmiare e per seguire in cantina l'evoluzione del proprio vino, fino al ritiro delle sospirate bottiglie.
Per aderire al progetto “Adotta una Garganega” basta contattare la Strada del vino Soave, www.stradadelvinosoave.comassociazione@stradadelvinosoave.com, telefono 045.7681407

La Tognazza Amata tra mondanità e amore per la Terra


"Nella mia casa di Velletri c’è un enorme frigorifero che sfugge alle regole della società dei consumi. Non è un “phiIcone”, uno spettacolare frigorifero panciuto color bianco polare. È di Iegno, e occupa una intera parete della grande cucina. Dalle quattro finestrelle si può spiarne l’interno, e bearsi della vista degli insaccati, dei formaggi, dei viteIIi, dei quarti di manzo che pendono, maestosi, dai Iucidi ganci. 
Capita che ogni tanto, di mattina, mia moglie mi sorprenda inginocchiato davanti a questo feticcio, a questo totem dell’umana avventura. Me ne sto Iì, raccoIto in contemplazione, in attesa d’una ispirazione per iI pranzo.
Questa immagine, indubbiamente paradossaIe, può darvi una idea di quanto ascetico sia iI mio attaccamento ai prosaici piaceri della tavola, e quindi della vita; e di come, in fondo, io sia da considerare un martire deI focolare.

Disoccultiamo queste due sane, grandi e materialistiche passioni, per troppo tempo tenute nel ghetto della peccaminosità. Riesumiamo quella morale epicurea della gioia, della vita, che fece grande la romanità e il Rinascimento; riavviciniamoci con partecipazione al flusso ininterrotto e secolare della bava, dello sperma e della merda; recuperiamo, nel caso del cibo in particolare, una dimensione che si sta sempre più disfacendo, assediata com’è dalle schiere dei liofilizzati, dei surgelati, degli inscatolati".


Queste sono le parole, attualissime come non mai, che il grande Ugo Tognazzi scriveva qualche tempo fa ne L'abbuffone per cui mi ha fatto molto piace quando Gian Marco Tognazzi e il suo staff mi hanno invitato alla presentazione (un pò troppo mondana per me) de La Tognazza Amata, un progetto che in realtà è un vero e proprio stile di vita volto alla riscoperta delle sane tradizioni alimentari.

All'Os Club di Roma, una settimana fa, Gian Marco Tognazzi ha voluto presentare due vini, gli stessi che suo padre Ugo usava versare nei calici dei suoi ospiti, da Monicelli a Villaggio, da Gassman a Salce: Il Superiore della Tognazza, da uve trebbiano e malvasia e un rosso, il Syrah della Tognazza, prodotto dall'omonima uva dei vigneti di famiglia di Velletri.

Bevendoli mi sono rivenute in mente le parole di Gian Marco che ha dichiarato:"Abbiamo fatto come faceva mio padre, stando attenti alla qualità e alla genuinità. Non abbiamo voluto fare, e nemmeno Ugo lo avrebbe voluto, il vino ricercato, ma trovare il giusto rapporto fra genuinità e bontà.Non è che vogliamo fare una produzione come fossimo un agriturismo, noi restiamo fedeli alla filosofia di Ugo: cose fatte in casa per il piacere di condividerle. Non per niente le bottiglie della "Tognazza amata" saranno accompagnate da due frasi di papà, due pensieri che aveva fatto apposta per il suo vino".


Io che li ho bevuti più volte posso dire che i vini de La Tognazza non sono i classici prodotti commerciali, la famiglia non si sputtanerebbe per quattro baiocchi, per cui se li trovate, magari chiedete qui, non abbiate timore anche perchè stavolta garantisce Ugo Tognazzi!



La Casta, il vino e il Lei non sa chi sono io!!


Il senatore Rusconi a Fiumicino. Fonte: Corriere.it
Questa simpatica persona ritratta nella foto è il Senatore Rusconi che, secondo quanto riporta Corriere.it, ieri in virtù del suo "patentino" da politico ha violato una delle leggi base della sicurezza aeroportuale: impossibile portare nel bagaglio a mano liquidi eccedenti i 50 ml. Io, che amo io vino, sono sempre costretto ad imbarcare le bottiglie che compro in giro con tutti i rischi connessi (rotture, furti, etc.).
Loro, la Casta, invece sono immuni a tutto questo e, come scrive Alessandra Aracri sul Corriere, alla fine Antonio Rusconi, senatore lombardo del Pd, ha evitato quello che è successo a tutti noi comuni mortali un pò sbadati: perdere l'aereo e tornare all'imbarco. O perdere la bottiglia e lasciarla al controllo di sicurezza. 

Fonte:ilmovimentodegliindignati.blogspot.com
La prossima volta provo a dire che sono suo figlio, vediamo se funziona.....