L'Amarone della Valpolicella è salvo! Il Consorzio chiarisce gli equivoci...


Verona, 15 maggio 2013
 
“Nessun ampliamento della zona di produzione dell’Amarone e degli altri vini della Valpolicella,  nessuna apertura ad illegittime produzioni di pianura”: a dirlo Christian Marchesini, presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella. La modifica al disciplinare di produzione proposta e approvata a larga maggioranza in assemblea dei soci il 10 maggio scorso, infatti, riguarda il comma 2 dell’articolo 4, mentre i confini della zona di produzione sono definiti nell’articolo 3 che mai nessuno ha pensato di cambiare.
 
Con la modifica adottata il Valpolicella, l’Amarone e il Recioto della Valpolicella docg continueranno ad essere prodotti esattamente dove vengono prodotti oggi; senza modifica circa 2/3 delle produzioni avrebbero corso il rischio di non essere più certificate.
 
Questo perché nella vecchia versione del comma 2 dell’articolo 4 si leggeva che “… sono da escludere, in ogni caso, ai fini dell’idoneità alla produzione …, i vigneti impiantati su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle”. Quindi la modifica si è resa necessaria per correggere un vizio di forma del disciplinare, e per dare una maggior coerenza fra lo stesso e la fotografia reale dei vigneti da sempre esistenti in Valpolicella.
 
Finora la discrepanza, che era presente fin dal 1968 nel disciplinare di produzione dei vini Valpolicella dop, non era più che un refuso,  presente peraltro nei disciplinari di produzione di molti altri vini.
 
“La modifica al disciplinare, quindi – spiega Marchesini -, è stata deliberata all’unanimità dal Consiglio di Amministrazione perché necessaria per salvaguardare una situazione produttiva consolidata negli anni, ribadendo l’appartenenza di quelle aree alla zona di produzione riconosciuta. La maggiore vocazionalità, espressione di specifici terroir, è un’altra cosa, che dovrà essere discussa nel tavolo interprofessionale che è stato chiesto durante l’assemblea dei soci, e che vedrà la partecipazione di tutte le componenti della filiera, anche i piccoli produttori. Lì potrà essere fatta una discussione ampia, serena e ragionata sulla denominazione, che è patrimonio di tutti”.
 
“Allo stato attuale, tra l’altro – conclude il presidente del Consorzio - nessuno con onestà può negare che la qualità espressa dall’Amarone della Valpolicella nell’ultimo decennio è fortemente legata al territorio di origine nel suo insieme; merito di una vocazione diffusa di tutte le aree, ad una tradizione produttiva storicamente condivisa e alla riqualificazione dei vigneti portata avanti dai vitivinicoltori. Una situazione che ha avvantaggiato tutti, grandi e piccoli, famosi e non, sia dal punto di vista economico che d’immagine nel mondo”.
 
La modifica al comma 2 dell’articolo 4 di tutti i disciplinari di produzione delle quattro Doc/Docg non è stata l’unica approvata dall’assemblea dei soci. Periodicamente tutte le denominazioni vengono riviste per valutare incongruenze e obsolescenze frutto del passare del tempo o per introdurre elementi di attualità che le rendano adeguate ai nuovi contesti economici. In questa ottica, sono state introdotte sia altre modifiche al disciplinare dell’Amarone, sia variazioni a quelli del Valpolicella, del Ripasso della Valpolicella e del Recioto della Valpolicella docg.
 
Tra queste: l’introduzione della possibilità di utilizzare il tappo a vite per il Valpolicella Classico, Superiore e Valpantena, richiesto dai nuovi mercati e dagli stessi produttori; l’obbligo del 4° anno d’età del vigneto per poter produrre Amarone e Recioto della Valpolicella; la possibilità di procrastinare l’immissione al consumo dell’Amarone in casi eccezionali e limitatamente all’annata; la facoltà lasciata alle aziende di utilizzare nel Valpolicella Ripasso piccole percentuali di Amarone della Valpolicella a scopo migliorativo, salvo casi eccezionali in cui tale pratica si renda necessaria. 
 
 
Il Cda del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella è costituito da Christian Marchesini, Daniele Accordini, Sergio Andreoli, Romano Dal Forno, Emilio Pedron, Marco Sartori, Lucio Furia, Luca Degani, Giannantonio Marconi, Giuseppe Nicolis, Vittorio Zardini, Luca Sartori, Bruno Trentini, Flavio Tezza, Dario Tommasi, Aleardo Ferrari, Maurizio Fumaneri, Franco Puntin.

L'Amarone della "pianura" della Valpolicella

In Toscana, zona di Montalcino, la battaglia ha come oggetto la quantità di sangiovese all'interno del disciplinare di produzione del Brunello. I puristi vogliono lasciare tutto così mentre i "progressisti" vogliono ampliare ad altri vitigni.
In Veneto, invece, la battaglia che vede distinti i nuovi guelfi e ghibellini del vino vede da oggi la distinzione tra viticoltori di collina contro quelli di pianura.


La notizia è di pochi giorni fa e ha fatto grande scalpore: il Consorzio lo scorso 10 maggio, a maggioranza e dopo un'accesa assemblea, ha modificato il vecchio disciplinare di produzione dell'Amarone, datato 1965, allargando la possibilità di produzione ANCHE alle uve provenienti da vigneti di pianura e fondovalle.

Le polemiche, ovviamente, non sono mancate. Quelle più motivate e sentite sono arrivate dall'Associazione delle Famiglie dell'Amarone d'Arte, che riunisce 12 produttori storici come Masi e Allegrini, la quale ritiene la modifica come di una sorta di condono tombale per chi purtroppo già pratica, indisturbato, una produzione mai consentita dal regolamento. La verità – sostiene Sandro Boscaini – è che, nonostante le nostre rivendicazioni, la politica di gestione non tiene più conto delle zone vocate e si adegua solo a minimi parametri di legge, a tutto svantaggio della riconoscibilità di uno dei vini simbolo del made in Italy nel mondo".

In sostanza, secondo l'Associazione, aver consentito di produrre Amarone anche da vigneti al di sotto dei 300 metri significa cambiare visione di lavoro passando da un approccio qualitativo, basato sulla vocazione del vigneto, ad uno quantitativo che vede il mercato come il principale obiettivo da soddisfare ad ogni costo.



La proposta, come riporta l'Arena, è stata rinviata al mittente visto che la maggioranza dell'Assemblea, che rappresenta l'80% della filiera, ha dato parere favorevole alla modifica del disciplinare che, secondo alcuni, non è altro che un atto formale con cui si mette in regola una pratica che già in tanti esercitavano.

In ogni caso, maggiori chiarimenti arriveranno dalla prossima conferenza del Consorzio che dovrebbe tenersi a giorni, forse oggi stesso.

In tale ambito una risposta adeguata se l'aspetta anche la Federazione Vignaioli Indipendenti della Valpolicella che, oltre ad aver chiedo un rinvio della votazione, chiede "delucidazioni sulla costituzionalità dell'articolo 16 dello Statuto del Consorzio su deleghe e voti, e che di fatto rischia di creare un "cartello" rendendo impossibile alle piccole cantine come le nostre di decidere del futuro delle nostre denominazioni."

La battaglia è solo all'inizio!



Lo Chenin Blanc della Loira alla corte dei TDC

Siamo a Gennaio e, forse, parlare di vini bianchi a qualcuno farà venire freddo ma, credetemi, possiamo fare un'eccezione per lo Chenin Blanc, uno dei grandi vitigni autoctoni francesi che in Italia, purtroppo, è ancora poco conosciuto.
Lo Chenin Blanc, vitigno originario dell'Angiò dove pare fosse coltivato già nel IX secolo, deve sicuramente il suo nome al lavoro di ricerca di Denis Briçonnet, abate di Cormery, che nel XV secolo nella proprietà di Mont-Chenin, sulle pendici dell’Echaudon, piantò alcune varietà di viti tra cui il Plant d’Anjou che ben presto si acclimatò con successo e che, verosimilmente, prese il nuovo nome di Chenin.
Oggi lo Chenin Blanc nella Loira è coltivato nelle zone di Anjou e Saumur e Touraine.
L’Anjou e Saumur hanno una AOC di ricaduta (Anjou), delle AOC territoriali come Coteaux-de-l’Aubance, Anjou Coteaux-de-la-Loire, Savenniéres, Coteaux-du-Layon, Saumur, Saumur-Champigny e tre AOC comunali (solo per vini dolci) denominate Bonnezeaux, Chaume e Quarts-de-Chaume.

Le denominazione Bonnezeaux e Quarts-de-Chaume sono famose per produrr grandi vini muffati grazie all'incontro dei fiumi Layon e Loira che creano le condizioni ideali per la formazioni delle nebbie propedeutice alla formazione della Botrytus.
Nella zona del Savennières, la più famosa per lo Chenin Blanc, si trovano i maggiori Cru: la Roche-aux-Moines e il Coulée-de-Serrant.
Piccola curiosità: la zona, geologicamente, vede suoli sono divisi in due categorie: “Anjou Noir” ovvero scisti e rocce primarie del Massicio armoricano e “Anjou Blanc” composto da rocce ricche di calcare. 

AOC Anjou e Saumur

La Touraine ha una AOC regionale Touraine divisa in nove AOC comunali: Bourgueil, Saint-Nicolas-de-Bourgueil, Chinon, Montlouis, Vouvray, Touraine-Azay-le-Ridéau, Touraine-Amboise, Touraine-Mesland, Touraine Noble Joué.
Zone di grande qualità per lo Chenin Blanc sono Vouvray e Montlouis
I suoli sono caratterizzati dalla presenza maggioritaria di tufo, con intrusioni di argilla, sabbia e talvolta silice.

AOC Touraine

Tornando a cose più "pratiche", assieme ad un nutrito gruppo di TDC abbiamo bevuto e, conseguentemente, scoperto le seguenti chicche:

Saumur Blanc Breeze 2001 - Clos Rougeard: iniziare la batteria con questi vino è un pò imparare a guidare una macchina partendo dalla Ferrari. Ha 13 anni ma non li dimostra, nè al colore che si mantiene vivissimo, nè all'olfattiva dove questo chenin blanc sembra appena svinato. Nettissima è la nota citrina, agrumata del vino a cui seguono i caratteristici aromi di mela, in questo caso grattata,  e acacia. Forse l'età viene tradita da una piccola sensazione di pasticceria ma si tratta di poco. Col tempo il vino si apre, muta, e diventa floreale, mettere il naso nel bicchiere significa entrare in un campo primaverile di fiori gialli. 
Al sorso il vino è teso, vibrante, ha tutta l'anima del vitigno e progredisce da manuale. Che volere di più?

Montlouis Les Choisilles 2010 2000 - François Chidaine: ci spostiamo a Vouvray ed in particolare nella piccola AOC Monlouis. Questo produttore, biodinamico dal 2003, coltiva solo chenin blanc con piante che vanno dai 40 agli 80 anni.  Questo vino, che non fa parte dei suoi Cru, ha un naso e uno stile che a qualcuno di noi ha ricordato quello di Gravner, sembra un vecchio Collio macerato con le classiche sensazioni di miele, castagna, camomilla. Questo naso "grasso" e un pò stanco si scontra con una bocca totalmente diversa, il sorso è acido, affilato, minerale.


Vouvray sec Clos Naudin 1998 - Philippe Foreau: sempre nella zona di Vouvray troviamo questp importante produttore che ha uno stile molto puro e scarsamente interventista. Naso intrigante e ancora giovanile, la purezza del frutto si intreccia con una fervida mineralità che a tratti si trasforma in salinità. Il tempo fa uscire una strana mediterraneità nel bicchiere visto che percepisco il cappero e l'oliva. Il miele esce col tempo. Al sorso il vino è leggermente seduto ma rimane comunque minerale ed ampio. Bella la persistenza finale.


Savennieres Coulee de Serrant 1989 - Nicolas Joly: ohhhhhhhh Joly, tutti ad aspettare il vino di questo importante produttore biodinamico e..............il vino è talmente strano ed evoluto che tanti decidono di dargli un bel NG. Non giudicabile da chi lo ha bevuto spesso e pensa che questo chenin blanc possa dare molto di più. Ok, ma come era sto vino? Colore oro quasi ambrato, naso tostato, caffettoso, qualcuno ha esordito dicendo che era un ottimo Caffè Borghetti. Col tempo evolve, sa di pan di zenzero, caramella d'orzo, futta secca per arrivare ad sentori da whisky torbato. Bocca leggermente slegata ma bella piena a compressa. Bottiglia sfigata? Boh, non so, dicono di sì e mi fido.

Foto: Andrea Federici
  
Saumur blanc L'Insolite 2009 - Domaine des Roches Neuves: Thierry Germain, giovane vignaiolo bordolese trapiantato in Loira dal 1991, conduce la sua azienda con metodi biodinamici. L'Insolite nasce da un piccolo vigneto di chenin blanc di circa 75 anni. L'uva trasportata in cantina subisce una fermentazione in botti di legno da 400 e 250 litri, un terzo di un anno e due terzi di due anni. Segue affinamento in botti grandi da 1200 litri per circa un anno. Il vino, a dire il vero, non mi ha entusiasmato moltissimo, ha grande verticalità, è acido e agrumato, teso, affilato ma, forse, un pò troppo monocorde. Sicuramente è giovanissimo, aspetteremo!

Foto: Andrea Federici

Lo spumante contro l'Alzheimer? Speriamo! Nel frattempo faccio scorta.....


Bellissimo!! Forse, se fosse vero, è l'unica malattia alla quale potrei scampare!!! 

Grattatio pallorum fugatio malorum

Buone notizie per gli amanti delle bollicine: i vini spumanti e lo Champagne, se bevuti regolarmente, pare possano migliorare la memoria spaziale, scongiurare l’insorgere di demenza, o deficit cognitivo, e l’Alzheimer.


Questo quanto suggerito da uno studio pubblicato sulla rivista Antioxidants & Redox Signaling e condotto dei ricercatori britannici dell’Università di Reading: Giulia Corona, Jeremy Spencer, David Vauzour, Justine Hercelin e Claire M. Williams.
Corona e colleghi hanno scoperto che un composto presente nelle uve a bacca nera, come il Pinot Nero e Pinot Meunier, è attivo nel contrastare i disturbi del cervello. Queste uve – in particolare il Pinot Nero – sono utilizzate nella produzione di Spumante e Champagne.


«La demenza – spiega il prof. Spencer nella nota Reading – probabilmente inizia intorno ai quarant'anni, prosegue verso gli ottant'anni. Si tratta di un declino graduale, per cui più precocemente si assumono questi composti contenuti nello Champagne, meglio è».

Il merito di questi effetti benefici sul cervello e la memoria sarebbe dovuto a una sostanza antiossidante chiamata acido fenolico.
Gli antiossidanti – come i polifenoli – contenuti nelle uve avevano mostrato in un precedente studio del team di Reading di essere attive nel ridurre l’azione nociva dei radicali liberi e contro l’ossidazione del corpo.

Il recente studio è stato condotto su modello animale, e ha mostrato che l’acido fenolico ha migliorato in modo significativo la memoria spaziale nei topi. I test, condotti dopo aver somministrato nella dieta lo Champagne, hanno rivelato che i topi invecchiati ricordavano l’ubicazione del cibo all’interno di un labirinto in due momenti diversi.
Quando invece non erano presenti le uve nella dieta le cose andavano diversamente.

Con l’apporto dello Champagne, prima dei test, i topi avevano un tasso di successo del 70 per cento nel ricordare dove si trovava il cibo nascosto nel labirinto; senza l’apporto dello Champagne, il successo era del 50 per cento.
L’azione sulla memoria spaziale era dunque significativa, per i ricercatori, i quali ipotizzano che se nei topi tutto questo si è verificato dopo 6 settimane di somminstrazione dello Champagne, per ottenere gli stessi risultati nell’uomo ci vorrebbero circa tre anni.

Il prossimo passo dei ricercatori sarà quello di condurre uno studio clinico sull’uomo, coinvolgendo persone in età pensionabile per osservare gli effetti del vino sulla memoria spaziale e la prevenzione della demenza.
Nel frattempo, ricordando che l’alcol è comunque una sostanza da assumere con moderazione, possiamo brindare alla salute mentale non solo nelle occasioni di festa, ma anche nei giorni normali.

Fonte: LA STAMPA

Les vins de Sancerre...pour moi

Nonononononoo, non aspettatevi un articolo in francese perchè tutte le mie conoscenze sulla lingua sono state espresse nel titolo di questo post che, oggi, vuole tributare tutti gli onori ad una delle zone "bianchiste" più importanti del mondo: Sancerre!


Ci troviamo a duecento km a sud di Parigi, sulle colline della Loira ma, a differenza della scorsa volta dove ho parlato dello Chenin Blanc coltivato nella zona dell'Anjou-Saumur e di Touraine, oggi vorrei approfondire un altro vitigno storico della zona, il Sauvignon Blanc che, a detta di moltissimi appassionati, viene molto bene all'interno dell'AOC Sancerre istituita nel 1936!



Attualmente l'AOC Sancerre si estende per oltre 2700 ettari all'interno di 14 comuni del dipartimento del Cher. I vigneti, situati sulla riva destra della Loira, hanno un'altezza che varia tra i 200 e i 400 metri s.l.m. e sono piantati su terreni che, dal punti di vista geologico, si dividono:
  • Terres Blanches: terreni ricchi di calcare ed argilla. La caratteristica di questo terroir è quella di rallentare la maturazione dell’uva con la conseguente possibilità di vendemmie tardive. I vini hanno una evoluzione lenta, subito sono un poco nervosi e necessitano di almeno un anno di maturazione. Gli aromi sono floreali e fruttati e solo leggermente vegetali. In bocca sono rotondi di corpo, molto fini ed equilibrati. Reggono un grande invecchiamento;
  • Les Griottessuolo calcare tenero, su questo terreno troviamo La Côte des Monts Damnés, l’appellation più conosciuta e i suoi vini prodotti solo da una dozzina di produttori sui quattrocento dell’area sono difficilissimi da reperire. Vini di grande personalità richiedono pazienza perché riescono a esprimersi solo dopo parecchi anni. Equilibrati e rotondi offrono una gamma olfattiva in continuo divenire;
  • Les Caillottes: suolo calcareo composto di pietre.  I vini di questa zona sono molto aromatici con sentori di bosso e di agrumi e sono subito pronti al consumo.
  • Silicio terreno più giovane, situato nelle zone più vicine alla riva della Loira, è un suolo pietroso comunemente chiamato "cailloux. Su questo terreno che ha una grande capacità ad accumulare il calore, le uve maturano molto in fretta. Gli aromi sono su note speziate molto forti nel primo periodo e spesso si riscontra un eccesso di durezza. Dopo un periodo di invecchiamento i vini si aprono ed esprimono in pieno la loro potenza. Reggono bene l’invecchiamento.
Les Caillottes
Terres Blanches
Les Griottes
Silex
Assieme al gruppo TDC, sì sempre lui, abbiamo cercato di approfondire il discorso sui principali produttori di Sancerre. Ovvio, è solo l'inizio di un lungo percorso conoscitivo.

La Grande Côte 2001 - Pascal Cotat: la Grande Côte è uno dei due Cru di Cotat (l'altro è il  Mont Damnèe) ed è composto da una vigna di circa 60 anni di età piantata all'interno del terroit di Chavignol. Pascal Cotat è un produttore tradizionale, vinifica con lieviti autoctoni in botte di rovere vecchie. Nientre filtrazione, niente barbatrucchi, solo pura espressione del terroir che dopo oltre un decennio dà vita ad un vino dal profilo ancora giovanile con la sua nota di mela grattata, pompelmo, erbe fresche e ficcante mineralità. Sorso tridimensionale, elegante, lunghissimo su note citrine. Grande vino senza se e senza ma.


Les Monts Damnes 2000 - Francois Cotat: l'altro Cru della famiglia Cotat, una vigna piantata su Terres Blanches all'interno delle "montagne dannate", colline talmente ripide e difficoltose che la vendemmia rappresenta sempre una sfida entusiasmante. Il vino, come al solito, ha una durezza di fondo che non lascia scampo a chi cerca in questo sauvignon ritratti da gentildonna. Ha un naso che somiglia all'odore dell'asfalto di estate, è idrocarburico, duro e asettico come il calcare che si trova nel suolo della collina da cui nasce. Bocca di grande freschezza e dinamicità, è ancora giovane, si tenderà ancora per anni. Granitico.

Clos la Neore 1997 - Edmond Vatan: da uno dei grandi vignaioli di Sancerre nasce un vino intramontabile e mitico, apparentemente semplice come la bottiglia da cui sgorga. Ha complessità da vendere, il naso cambia ogni dieci minuti, può prendere la forma del fieno bagnato, del limone, del tiglio, dell'acacia, dell'erba di campo. Rispetto a Cotat noto una maggiore rotondità, l'acidità e l'anima minerale sono meno taglienti e più inglobate nella struttura che rimane imponente ma al tempo lineare e proporzionata. Grande vino da un grande uomo che dovrò sbrigarmi a conoscere.


Generation XIX 2000 - Alphonse Mellot: la famiglia Mellot produce e commercia vino a Sancerre da oltre cinqucento anni e questa cuvée, Generation XIX, ci ricorda che Alphonse, attualmente, rappresenta la diciannovesima generazione della famiglia. Questo vino nasce da una vigna di circa un ettaro di quasi 90 anni piantata su terreno di tipo "caillottes". Rispetto ai colleghi precedenti questo sauvignon blanc è più facile, è un bel cesto di frutta gialla che aspetta di esser bevuta. Bocca esile che finisce troppo presto. Lasciato nel bicchiere per oltre due ore il vino comincia a trasformarsi, almeno nell'odore, ad un whisky torbato. Scendiamo di livello, senza dubbio.

Les Romains 2006 - Domaine Vacheron: biodinamici dal 2005 (certificazione BIODYVIN ), si caratterizzano per il fatto che i loro vini sono espressione dei vari tipi di terreni presenti nell'AOC Sancerre. Al naso sfilano sensazioni di pera, marmellata di limoni ed una certa "fumosità" che dà al vino carattere e spessore. In bocca è caldo, maturo, sapido, è sicuramente ottimo ma, rispetto al Sancerre di Cotan e Vatan, come nel caso precedente, il vino sembra avere qualcosa in meno in termini di emozione. Il progetto è comunque interessante e sono curioso di degustare le nuove annate del Domaine.


Scoprite altri ottimi Sancerre su www.vinatis.it/sancerre.html

Prosecco contro Prosek. Dopo il Tocai perderemo anche questa battaglia?

Interessante questo articolo a firma Francesco Tortora uscito sul Corriere della Sera. 

E' il primo banco di prova per il nostro ministro De Girolamo?

Il prossimo 1 luglio la Croazia entrerà nell'Unione Europea diventando ufficialmente il ventottesimo Stato membro. Tuttavia sembra che per festeggiare l'evento i cittadini del paese balcanico non potranno brindare con una delle loro bevande più tradizionale, il Prosek. Secondo le norme dell'Ue il nome di questo vino è troppo simile a quello del Prosecco italiano e non può essere venduto nei confini continentali. Da parte loro i viticoltori croati non ci stanno e promettono battaglia per difendere uno dei loro prodotti più antichi.

DIFFERENZE - L'ironia di questa vicenda che divide per l'ennesima volta l'Italia e la Croazia è che le due bevande sono completamente diverse. Il Prosek croato è un vino dolce da dessert, mentre il Prosecco italiano, come ben sanno i produttori veneti e friulani, è un vino bianco, simile allo champagne. Nonostante le grandi differenze, il vino italiano è un prodotto a Denominazione di origine controllata e secondo la normativa europea il nome Prosecco può essere utilizzato solo per quei vini le cui viti sono coltivate in Veneto e Friuli Venezia-Giulia.


BATTAGLIA LEGALE - La Croazia ha negoziato per otto anni il suo ingresso nell'Unione Europea, ma i politici del paese balcanico hanno fatto ben poco per registrare alcuni dei loro prodotti tipici. La vittima principale è proprio il Prosek, che salvo retromarce improvvise dell'Ue, dovrà cambiare nome se vuole restare sul mercato continentale: «Se vogliono la guerra del vino, la otterranno - spiega Andro Tomic, uno dei maggiori produttori vinicoli croati - Abbiamo avuto tanto tempo e avremmo potuto fare molto di più per tutelare i nostri prodotti, ma il ministero non ci ha consultati». L'imprenditore che produce il suo vino principalmente a Jelsa, sull'isola meridionale di Hvar, afferma che i viticoltori croati sono pronti a rivolgersi a un tribunale continentale per far valere i propri diritti: «Il Prosek è prodotto nelle nostre terre da oltre 2.000 anni ed è nato molto prima dello Stato italiano. Prosek è semplicemente una parte della nostra tradizione. E' come se ci dicessero che vogliono una parte del nostro mare».

IL PUNTO DI VISTA ITALIANO - Sulla diatriba che divide Italia e Croazia, ha fatto sentire la sua voce anche il Presidente della regione Veneto Luca Zaia, che nella scorsa legislatura è stato anche Ministro delle politiche agricole e alimentari. Il mese scorso, durante una visita a Vinitaly, l'esponente leghista è stato netto: «La Croazia a luglio vuole entrare in Europa e se vuole entrarci deve farlo con le regole europee. Noi vogliamo la Croazia in Europa, vogliamo che gli istriani che sono nostri fratelli di sangue continuino nella sfida dell'Euroregione con Carinzia, Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Veneto; però la Croazia deve rinunciare all'utilizzo del nome «Prosek», perché altrimenti saremo noi a fare ricorso contro questa cosa».

Tenuta Casteani e il buon vino della Maremma

E' sempre bello quando una vecchia amica ti chiama al telefono ed, emozionata, ti dice che:"Devo farti provare i vini dell'azienda per cui ora sto lavorando. Sai che, conoscendomi, non mi esporrei  mai se non fossi davvero convinta!".

L'appuntamento è fissato per un pomeriggio di primavera. Ad aspettarmi, oltre il mio "gancio" che Mario Pelosi, il proprietario dell'azienda, per tanti anni ingegnere meccanico ed oggi, oltre Sommelier Master, anche enologo. Sì, la passione per il vino chi ha fatto conseguire la laurea ad oltre sessanti anni di età.
Mi racconta di come è nata Tenuta Casteani, ex Podere Casa Fabbri che per anni, in un passato non troppo lontano, ha ospitato il direttore della Montecatini - Società Generale per l'Industria Mineraria e Chimica che, proprio nel sottosuolo della Località Casteani, aveva scoperto grandi risorse di lignite e carbone.
Dopo la fine dell'attività mineraria, avvenuta a fine anni '70, questo podere, così come tutta l'economia locale del posto, è entrato in una fase di progressiva decadenza fino al 2002 quando appunto Mario, romano ma innamorato di questo angolo di Maremma, ha iniziato un'opera di recupero agricolo non solo attraverso la ristrutturazione del vecchio casale ma, soprattutto, reimpiantando circa 10 ettari di vigneto (sangiovese, alicante, merlot, syrah, vermentino e viognier) e 600 piante di olivo (cultivar leccino, frantoio e corregiolo).

I vigneti

La passione di Mario, che si avvale di uno staff giovane ma di grande esperienza, è tutta davanti a me. Dieci vini che aspettano di essere bevuti.

Piccabòn 2012: spumante brut ottenuto da uve vermentino spumantizzate attraverso metodo Martinotti. Perlage abbastanza fine, persistente, profumi freschi che spaziano dalla frutta bianca matura, agrumi. In bocca è fresco e beverino e non ho dubbi sarà il loro vino dell'estate.



Vermentino 2012: ottenuto quasi esclusivamente da uve vermentino (c'è una piccola percentuale di viognier che  non supera il 10%), il vino esprieme tutto il meglio sia delle uve utilizzante che del territorio. Sa di pera, pompelmo rosa per poi virare su una nota minerale che prende la giusta centralità senza essere mai invadente. In bocca il vino richiama il mare con una nota salina in evidenza che, assieme a vibrante freschezza, provoca dipendenza dal bicchiere. Altra felice scoperta.



Spirito Libero - 4/8 - 2012: è Mario a presentarmi personalmente i due vini che verranno. Con un grande orgoglio mi dice che il progetto "Spirito Libero" è il tema della sua tesi di laurea in enologia ovvero arrivare a produrre personalmente vini senza solfiti aggiunti attraverso la ricerca di modalità alternative e salutari per il consumatore. Questo 4/8, che significa 4 mg/l di solfiti liberi e 8 mg/l di solfiti totali, si caratterizza per il fatto che l'uva, in stoccaggio al freddo, è stata nebulizzata con ozono (quante ore??????) con lo scopo non solo di ritardare la decomposizione dell'uva ma, soprattutto, di aumentare i livelli di antiossidanti naturali. Questo vino, 100% vermentino, si caratterizza per un complesso olfatto che gioca su mela, pera e note floreali fresche. Bocca coerente, sapida e dal finale durevole. Però!



Spirito Libero - 5/10 - 2012: stessa storia del precedente ma con due particolarità: anzichè ozono sono stati usati antiossidanti alimentari e, come facile prevedere, i numeri stanno ad indicare 5 mg/l di solfiti liberi e 10 mg/l di solfiti totali. Rispetto al precedente, questo vermentino in purezza sembra essere più "avanti" sia come colore, leggermente più dorato, sia come profumi che virano sul tostato, la frutta matura e su una sensazione minerale più decisa del 4/8. Bocca più ampia e profonda, decisamente più lunga. L'ho preferito al suo gemello di poco.



Rusada 2012: rosato da 100% sangiovese che ha tra le sue armi migliori la freschezza e la facilità di beva. Mario è un estimatore della tipologia per cui non aspettatevi niente di banale. Anzi!



Spirito Libero - Rosso 2012: l'altro esperimento di Mario con i vini rossi (anche qua la solforosa totale è pari a 5 mg/l) ci porta nel bicchiere un sangiovese in purezza il cui sapore, inconfondibilmente, ricorda quello della buccia dell'acino. Sì, berlo significa godere di una spremuta di sangiovese pura e primordiale. Curiosità: mantenuto aperto per giorni non solo non si è ossidato ma, anzi, ha tenuto e migliorato la sua performance gustativa. Da tenere d'occhio!



Sessanta 2009: blend di sangiovese, merlot ed alicante, è il vino che Mario ha fatto "nascere" per celebrare i suoi sessanta anni di età. E' un vino sorprendente perchè tutto ti aspetti meno che in Maremma si possa produrre un vino del genere. Elegante è la parola adatta. Colore scarico, profumi di agrume rosso, viola passita, frutta rossa croccante, sandalo e tabacco trinciato. In bocca ha una grana tannica invidiabile e una cospicua dotazione acida che, senza dubbio, autorizzano a previsioni di grande longevità. Finale sapido, minerale. Una bellezza di vino. Una delle migliori scoperte del 2013.



Terra di Casteani 2008: rappresenta il vino di punta dell'azienda, lo chiamano il loro Supertuscan anche se, ad oggi, di questa menzione ne farei a meno. E' un sangiovese (70%) e merlot (30%) di grande grinta e spessore, diverso dal precedente per una maggiore forza e profondità gustativa. Ha profumi di frutta di bosco, macchia mediterranea, inflessioni dal timbro vegetale e fiori rossi secchi. Al sorso è particolarmente piacevole perchè mostra grande equilibrio, tannini fini ed un finale di bocca fruttato e speziato. Fossero tutti così i c.d. Supertuscan!



Pian di Tatti 2010: finale con il loro vino dolce a base di sangiovese e un tocco di merlot. E' una vendemmia che seduce regalandoti un ventaglio di frutti rossi addolciti dal sole con sottofondo minerale. Sorso di struttura e freschezza che sfuma in una lunga eco sapida e dai ritorni mediterranei. L'annata 2009, la prima in assoluto, si differenzia da questa in quanto il grande caldo e la siccità hanno costretto a vendemmiare anticipatamente. Ancora non l'ho degustato ma mi dicono grandi cose di questa versione....



Ringrazio tutti della bella degustazione che mi è stata offerta, un regalo grande che solo i veri amici mi possono fare. Che legge Percorsi di Vino, invece, non si faccia sfuggire l'occasione di provare questi vini. 
La promessa è di ritornare a parlare di Tenuta Casteani, questa volta voglio calpestare le loro vigne e la loro cantina.


Ah, ecco Mario!!!

Champagne Roger Pouillon et Fils Rosè Brut Premier Cru

Mike Tommasi mi ha fatto bere per la prima volta questo champagne prodotto da una piccola azienda famigliare situata a Mareuil sur Aÿ, piccolo villaggio incastonato tra Epernay e la  Montagne de Reims.
Fabrice Pouillon e suo figlio James, che rappresenta oggi la quarta generazione, posseggono 15 ettari di vigneto suddivisi in 68 parcelle, divise tra Grand Cru e Premier Cru, che si estendono in oltre 15 comuni della Marne.



La gestione del vigneto attraverso l'applicazione di quella che viene definita "coltura artigianale e ragionata" ovvero un approccio che si ispira all'agricoltura biologica: no, perciò, a fertilizzanti chimici, defolianti e fungicidi mentre semaforo verde circa l'inerbimento tra i filari, al letame e  all'uso tisane protettive per la vite. Dal 2003, inoltre, Fabrice ha iniziato a condurre alcune vigne selezionate attraverso metodi biodinamici.




Questo Champagne, 100% pinot nero proveniente dal territorio di Mareuil sur Aÿ, si presenta cromaticamente di color rame intenso anche se Mike ci svela che la sua gradazione varia di anno in anno passando da toni appena rosati a nuance molto più cariche di colore.

Al naso, inizialmente, è abbastanza monocorde, a tratti banale, visto che non si discosta molto dal "classico" binomio fragolina di bosco/ciliegia. Col passare del tempo, invece, esce fuori tutto il valore di questo Champagne che sterza aromaticamente verso sentori più maschili e duri. Ci sento indiscutibilmente la liquirizia, il garofano, un lieve sentore affumicato che col tempo vira su profumi di terra rossa.

La bocca è strutturata ma agile, sapida, tesa e dotata di finale fruttato e di buona persistenza. 

Certo, non avrà la maestosità del Rosè di Beaufort, che rimane il mio preferito nella categoria, ma questo Champagne mi ha davvero intrigato in quanto diverso dai soliti stereotipi che spesso mi capita di bere. Sono curioso di provare gli altri vini della gamma per cui, mentre attivo il mio spacciatore di bollicine francesi, ringrazio Mike della bella bottiglia che ha voluto condividere con me e con altri amici di EnoRoma.

Merci!

P.s.: per i fissati delle schede tecniche aggiungo che il vino fermenta in vasche di acciaio e barriques ed affina in botti di rovere e barriques. 

Francia: Francois Hollande metterà all'asta il vino dell'Eliseo!

'Crise, oblige': il presidente francese, Francois Hollande, mette all'asta un importante numero di bottiglie provenienti dalle cantine dell'Eliseo. 

La vendita, che si terra' a Parigi, all'Hotel Drouot, i prossimi 30 e 31 maggio, ha l'obiettivo di permettere al presidente di rinnovare la sua cantina con ''dei vini piu' modesti, mentre l'eccedenza verra' versata nelle casse dello Stato''. Tra i vini in vendita, bottiglie pregiatissime come dei Petrus del 1990 stimati intorno ai 2.200 euro, ma anche Bordeaux, Bourgogne, vini della Loira, Cotes du Rhone, Alsace, Sud-Ouest e Champagne. 

Francois Hollande. Foto: oneeuro.it

In totale, andranno all'asta 12.000 tipi di vino. La 'selezione', equivalente a un decimo delle cantine presidenziali - creata nel 1947 - e' stata fatta dalla giovane sommeliere dell'Eliseo, Virginie Routis. Nel 2006, anche il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoe, aveva messo in vendita 5.000 bottiglie della cantina dell'Hotel de Ville, il municipio della capitale, vendute a peso d'oro, tra cui un Romanée-Conti del 1986, venduto per 5.000 euro.

Una delle bottiglie in vendita

Fonte: Ansa

Masseria Murata: appunti di viaggio irpini. Capitolo 1

Masseria Murata, a Mercogliano, è la prima azienda che ho visitato durante il mio viaggio alla scoperta dei vini dell'Irpinia grazie all'aiuto dell'infaticabile Lello Tornatore.

Geograficamente siamo appena sotto l'Abbazia di Loreto, i cui terreni, parte dei quali ora sono  di proprietà della Masseria, sono da più di otto secoli impiegati per produrre grande uva da vino. Un atto notarile del 1138, infatti, attesta che questi poderi erano già coltivati a vigneto quando il conte Enrico, signore di Sarno e di Avellino, rinunciò al censo che gravava sul vigneto a favore dell'Abbazia dei monaci Benedettini.


I vigneti e l'Abbazia di Loreto

Masseria Murata oggi appartiene ai fratelli Argenziano che, dopo aver conferito uve ad altre aziende, hanno deciso, visto anche che non ne valeva più la pena dal punto di vista economico, di iniziare un progetto imprenditoriale tutto loro.

Attualmente l'azienda si estende per circa 8 ettari di cui 4 a fiano (piantati per due terzi a Mercogliano e un terzo a Candida), 2 a greco (piantato a Chianchetelle) e 2 a coda di volpe (impianti a Mercogliano di età anche centenaria).


Vigneti con Gianluca Argenziano


Vigneti di Fiano
In cantina, aiutati dall'enologo Carmine Valentini, per i bianchi si usa solo acciaio mentre per i rossi, un Aglianico e un Taurasi, si converge verso l'uso di un legno mai invasivo.

Acciao
Legno

All'interno della sala degustazioni, assieme a formaggi dal sapore antico, beviamo una mini verticale del loro Fiano.

Fiano di Avellino 2012: ancora in embrione con un residuo zuccherino piacione. Difficilmente valutabile oggi ma, a leggerlo attentamente, mi fornisce l'idea di un vino dalle grandi potenzialità. Basta farle esprimere al meglio.

Fiano di Avellino 2011: naso che profum di glicine, erba, agrumi con striature tostate. Bocca piena, equiibrata, con preziosi rimandi alle percezioni sapide ed erbacee. 

Fiano di Avellino 2010: vabbè, si inizia a capire che la 2010 è un'annata clamorosamente buona per il fiano. Almeno da queste parti. Spiccata intensità di glicine, mandorla, fieno, mela, cedro, echi minerali. Bocca sapida, dinamica, dà soddisfazione sorso dopo sorso stentando ad andare via. Gran bel bere!

Greco 2011: da vigneti posti a circa 700 metri di altezza nasce un vino di grande freschezza e sapidità il gusto profilo gusto olfattivo vira tra toni fruttati e minerali. Chiusura bella sapida.

Coda di Volpe 2008: il vino che non ti aspetti, davanti a Fiano e Greco sembrava piccolo piccolo ed invece il piccolo Davide non sfigura contro i Golia irpini. Sarà che le vigne sono quasi centenarie, sarà che la famiglia Argenziano crede molto in questo vitigno, il risultato è affascinante: il Coda di Volpe, di cinque anni fa, è ancora un vino vivo, freschissimo, verticale, non ha grande complessità ma le poche cose che ha le esprime ai massimi livelli. Fresca è una bottiglia che berrei in un minuto da solo.

Peccato 2009: questo aglianico 100% si caratterizza per la grande dinamicità. Profuma di fiori e frutti rossi e, grazie alla freschezza, va giù che è un piacere. Per chi non rinuncia a bere aglianico anche d'estate!

Passione 2007: il Taurasi di Masseria Murata, rispetto al precedente, ha profumi più terrosi e maschili e in bocca è di maggiore avvolgenza. Ottima anche in questo caso la bevibilità. Uva proveniente dai vigneti di Venticano.

Passione 2009: ancora in fasce si caratterizza per una maggiore carica materica e un carattere più definito. L'uva, questa volta, viene da Montemarano.