I Giovani Promettenti incontrano Paola, Giorgio e Giulio Abrigo - Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Devo dire la verità, mi dichiaro colpevole senza possibilità di appello, l'azienda Giovanni Abrigo è stata una delle prime a mandare i vini a Lavinium, ben 16 anni fa, e io non sono mai andato a trovare la famiglia. Ci è voluto uno dei viaggi del gruppo IGP in Langa per riuscire finalmente a colmare questa grave lacuna. Incontrare Paola Abrigo e sentirmi dire "vi seguiamo da sempre", da una parte mi ha emozionato e dall'altra mi ha fatto sentire ancora di più il peso della mia mancanza, tanto più perché i loro vini mi sono sempre piaciuti.

Paola Abrigo

Insomma, l'8 novembre scorso, con Carlo Macchi, Lorenzo Colombo, Pasquale Porcelli, Maria Grazia Melegari e Marina Betto siamo andati a Diano d'Alba, ospiti di Paola, Giorgio e il figlio Giulio. Essendo sera e la bellezza di 4 giorni che pioveva incessantemente, non abbiamo potuto vedere le vigne, ma abbiamo fatto un giro per la cantina, poi cena tutti insieme, una bella tavolata in un'atmosfera serena e scanzonata, come ci conoscessimo da sempre.

L'azienda è una delle produttrici storiche di Dolcetto, io l'ho conosciuta così, con le sue selezioni, a cui affiancava l'Arneis, la Favorita - un vino bianco Doc Langhe che viene proposto in versione leggermente frizzante (senza carbonica aggiunta), che ben si presta per antipasti e spuntini veloci e non impegnativi; il Nebbiolo d'Alba, maturato un anno in botti di rovere e la Barbera d'Alba Marminela, maturata in cemento.

Giulio Abrigo
Dal 2013 è entrata a far parte del parco vigneti una fetta della menzione geografica Ravera nel Comune di Novello, circa 2 ettari di nebbiolo da cui nasce il primo Barolo aziendale, che prende il nome del cru. Qui a Diano, sebbene il Dolcetto abbia sempre avuto il ruolo principale, avere in produzione anche il Barolo non è certo un fatto secondario, anzi, è già una fortuna riuscire a trovare un pezzo di terra a nebbiolo da Barolo, spesso costosissimo; chi ci riesce è quasi come se avesse vinto al superenalotto! Il Barolo fa sempre la sua figura e accende l'interesse, sappiamo bene quanto il Dolcetto fatichi sul piano commerciale, sebbene Paola e Giorgio ci riferiscono che i loro Dolcetti sono sempre andati bene.


E io gli credo, anche perché sono davvero notevoli: mi è rimasto fortemente impresso il Dolcetto di Diano d'Alba Garabei 2007 degustato nell'aprile scorso, un vino sorprendente, ancora vivo e con una complessità che non ci si aspetta, abituati a bere sempre il Dolcetto entro uno-due anni dalla sua uscita in commercio. Devo dire però che il Dolcetto, per quanto possa invecchiare a lungo non avrà mai quella profondità, quell'eleganza che sa dare un grande nebbiolo, mentre in gioventù, soprattutto nei primi anni di vita, può sbaragliare la concorrenza con la sua beva trascinante. Questo non vuol dire che non si possano bere ottimi Dolcetto con un po' di anni sulle spalle, ma oltre una certa data la differenza da bottiglia a bottiglia si fa sentire troppo, il rischio di aprirne una e rimanere delusi cresce con il passare del tempo. Quando, però, abbiamo di fronte una materia prima con i fiocchi, proveniente da una zona più che idonea a questo non facile vitigno, puoi azzardare 4-5 anni di evoluzione. Ne è stato un perfetto esempio il Dolcetto di Diano d'Alba Superiore 2012 che abbiamo degustato durante la cena, un rosso trascinante, floreale, succoso, ancora fresco, balsamico, di una bontà che accende tutti i sensi e ti cambia l'umore.


Abbiamo assaggiato anche il neonato Barolo Ravera 2013, che ha messo in evidenza quei tratti che già avevamo riscontrato in tanti campioni della stessa annata durante le sessioni mattutine di degustazione effettuate proprio in quei giorni: naso maturo, quasi etereo, mentre al palato emerge un tannino ancora teso, difficile, bisognoso di tempo. 


Rispetto ad altri Barolo questo mi è sembrato meno aggressivo, provvisto di un ottimo bagaglio aromatico e di un allungo che lascia supporre possibili miglioramenti nei prossimi anni.
 
 Azienda Agricola Abrigo Giovanni
 Via Santa Croce, 9 12055 - Diano d'Alba (CN)
 Tel. 0173 69345 - 0173 69129
 sito: www.abrigo.it
 e-mail: info@abrigo.it

Cieck – Erbaluce di Caluso DOCG Spumante "Cieck Nature" 2013

Il mio viaggio tra i migliori vini del Canavese non poteva non puntare dritto verso l'azienda agricola Cieck, oggi condotta da Domenico Caretto e Lia Falconieri, che negli ultimi anni è riuscita a raggiungere livelli qualitativi difficilmente immaginabili anche per Lodovico Bardesono e Remo Falconieri i quali, nel lontano 1985, misero assieme sogni e terreni per dar vita ad un progetto di valorizzazione del territorio estremamente utopistico per il periodo.

Lia Falconieri

Lia l'ho conosciuta a Roma tanti anni fa grazie a Tiziana Gallo che, prima fra tutti nella Capitale, aveva intuito le potenzialità della produzione vinicola di Cieck decisamente orientata verso la valorizzazione del vitigno erbaluce, coltivato in azienda all'interno di 16 ettari di vigneto assieme a barbera, nebbiolo e neretto di San Giorgio, le cui caratteristiche, tra cui una spiccata acidità media, ben si sposano con la produzione di spumanti Metodo Classico che per costanza qualitativa rappresentano il fiore all'occhiello dei Falconieri.

Remo Falconieri

Per anni, da quell'incontro romano, ho amato visceralmente il Calliope Brut o il più complesso San Giorgio tanto da preferirli più di una volta alla cieca ad altri Metodo Classico provenienti da territori più blasonati per cui, come potete immaginare, durante i festeggiamenti dei 50 anni della DOC dell'Erbaluce di Caluso e Carema sono rimasto estremamente contento quando Lia mi ha presentato, quasi in esclusiva, l'ultima "creazione" spumantistica della sua azienda ovvero il Cieck Nature 2013.

Questo Erbaluce di Caluso DOCG Spumante Brut Nature è tecnicamente uno spumante con residuo zuccherino inferiore a 3 g/l (non si aggiungono comunque zuccheri dopo la seconda fermentazione) e, come per tutti i vini di questa tipologia, potrebbe risultare poco avvezzo al palato del grande pubblico a cui piace, invero, un gusto più morbido ed accogliente (non a caso la stragrande quantità di prosecco in giro è extra dry o dry).


Se, come me, amate invece un gusto più "adulto" allora non dovete perdervi questa chicca  Canavesana dai piacevoli aromi agrumati e floreali a cui seguono richiami di frutta a polpa bianca seguiti da echi minerali. E' al sorso che questo Metodo Classico, a mio avviso, mette la vera marcia in più grazie ad un corpo che, seppur nascosto, ben bilancia una vibrante tensione sapida dai forti richiami agrumati. Insomma, il Cieck Nature è uno spumante maschio, decisamente secco, l'assenza di zucchero residuo toglie ogni maschera o imbellettamento al vino che in questa versione, così schietta e priva di ogni copertura, mostra la vera anima di questo erbaluce che non ha bisogno di altro per sorprendere anche i palati più esigenti.

Cantine Briamara – Caluso Passito DOC Riserva 2002 è il Vino della settimana di Garantito IGP

di Andrea Petrini
Non siamo né a Sauternes né a Barsac ma nel Canavese dove la regina delle uve è l’erbaluce che in versione passito dà vita a vini dolci che non hanno nulla da invidiare ai grandi muffati francesi.

Questo Caluso Passito di CantineBriamara, annata 2002, seduce il palato con i suoi sentori di frutta disidratata e spezie gialle regalando un finale avvolgente ed interminabile.

La storia di Damiano Ciolli in dieci annate di Cirsium

Con Damiano Ciolli ci conosciamo da tanto tempo ovvero da quando io ero un aspirante sommelier che frequentava l'AIS Roma mentre lui, timido e riservato, era un giovane vignaiolo che affrontava il grande pubblico di appassionati di vino che si radunava all'interno delle patinate sale dell'hotel Parco dei Principi. 

Me lo ricordo bene Damiano, oggi come ieri era il primo ad arrivare al suo banchetto che non lasciava mai anche quando, scoraggiato per la scarsa affluenza, rimaneva solo col suo vino perché il pubblico, i c.d. addetti ai lavori, non volevano nemmeno provare il suo Cesanese di Olevano Romano che fino ad allora era considerato un prodotto di scarsa qualità, spesso abboccato, adatto più ad essere venduto più in damigiana che in bottiglia etichettata.


Damiano, ovviamente, era il primo ad essere consapevole della cattiva reputazione di questo vino perché negli anni '50 e '60 suo papà Costantino vendeva cesanese sfuso nel vorace mercato di Roma che trenta anni più tardi, negli anni '80, inizia a preferire il bianco da osteria portando il papà di Damiano ad estirpare piante di cesanese in virtù di nuovi impianti di trebbiano e malvasia. Al tempo bisognava fare quantità e cassa, la qualità non era contemplata nonostante le enormi potenzialità di un terroir assolutamente unico che verrà valorizzato solo a partire dai primi anni 2000. In quel periodo, infatti, due avvenimenti hanno creato i presupposti per la grande rivoluzione enologica in casa Ciolli: il supporto  e l'incoraggiamento di Roberto Cipresso che in quegli anni lavorava nei pressi di Olevano Romano col progetto Wine Circus e, soprattutto, la grande gelata del 2001 che, teoricamente, aveva compromesso le vecchie vigne di cesanese del 1953 piantate dal nonno e che Damiano, cocciuto  più che  mai, ha chiesto di curare e vinificare prima del futuro espianto programmato per l'anno successivo.

Vigna Cirsium - Foto: Pignataro

Quel primo imbottigliamento sperimentale, probabilmente frutto anche di uno scontro generazionale, è ora davanti a me, su un tavolo con intorno tanti altri giornalisti del settore perché dal 2001, la prima annata di Cirsium, il cui nome prende spunto dal cardo campestre, Damiano ha fatto tanta strada diventando oggi un faro non solo per tutta la denominazione ma anche, permettetemi, per tutta l'enologia del Lazio che ha ancora ben pochi riferimenti da seguire.

Foto: Pasquale Pace

Questa verticale storica di Cirsium, che proverò orgogliosamente a descrivere, è dedicata perciò a tutti i sognatori e i testardi come Damiano e, indirettamente, è rivolta a tutti coloro che dieci anni fa nelle sale dell'AIS Roma passavano davanti a quel banchetto con la scritta Azienda Ciolli senza fermarsi a scoprire i sogni di un giovane vignaiolo che andava solo incoraggiato visto la qualità del vino che già allora produceva.

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2001: l'annata, come già detto, inizia male, con una gelata, la vigna del '53 sembra ormai defunta ma Damiano, che non aveva nulla da perdere, prende in mano la situazione e, grazie anche ad una primavera e ad una estate molto positive, raccoglie (pochi) grappoli perfettamente maturi dando vita a questa prima annata di Cirsium che ancora oggi, per equilibrio, integrità e complessità, rappresenta un vero e proprio miracolo enologico (data anche la scarsa esperienza del vignaiolo) rappresentando uno dei migliori vini del Lazio degli ultimi quindici anni. Non so perché ma, ripensando al vino, mi sono venute in mente le parole di Paulo Coelho:"Tutto l'universo cospira affinché chi lo desidera con tutto se stesso possa riuscire a realizzare i propri sogni". 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in vasche di vetroresina e affinato in barrique nuove per circa 12 mesi.

Foto: Pasquale Pace

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2003: l'annata calda, atipica per mancanza di escursione termica tra giorno e notte (ricordo che Olevano Romano è a circa 500 metri s.l.m.), ha dato vita ad un Cesanese di Olevano Romano molto boteriano con un naso pronunciato che evoca note di mirtillo, ciliegia, lampone, frutta secca e rabarbaro. Al sorso è giustamente caldo e rotondo e, nonostante qualche sbuffo alcolico di troppo, va giù senza troppi problemi. Da bere ora. 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in acciaio e affinato in barrique nuove e usate per circa 12 mesi.

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2004: l'annata è di quelle che piacciono a Damiano, fresca ed equilibrata, ed il risultato si percepisce nettamente al naso dove emergono sensazioni di peonia, geranio, ribes rosso e gentile balsamicità. Al sorso il vino si conferma di buon bilanciamento e perfettamente agile grazie ad una sostenuta acidità. Un vino più di pancia che di testa che non chiede altro se non quello di essere bevuto senza pensieri all'interno di una serata tra amici. 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in acciaio e affinato in barrique nuove e usate per circa 12 mesi.

Foto: Pasquale Pace

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2005: altra annata fresca ma, a differenza del precedente, questo Cirsium lo troviamo in netta fase di chiusura aromatica visto che nel corso del tempo non fatto altro che arricciarsi su se stesso creando una corazza olfattiva difficilmente scalfibile. Solo durante la fase gustativa del vino si riescono ad intravedere le enormi potenzialità di questo vino che oggi è un groviglio di sapori la cui risoluzione ad oggi ha una gittata temporale difficilmente quantificabile. Se lo avete in cantina ritenetevi fortunati ma potreste non campare abbastanza per vederlo al top.
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in acciaio e affinato in barrique nuove e usate per circa 12 mesi.

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2006: questo millesimo, considerato da Damiano come uno dei migliori, parte inizialmente contratto ma basta ossigenare leggermente il bicchiere che si spalanca la porta del paradiso enoico regalando un vino dalla complessità olfattiva straripante dove ritrovo aromi di ciliegia, spezie scure, papavero, bacche di ginepro, echi balsamici e, per la prima volta in maniera così netta, un grande respiro minerale che ricorda la terra rossa vulcanica sulla quale sono piante queste vecchie viti. Sorso perfettamente orchestrato, delizioso nell'incipit morbido e caldo ed impeccabile nella trama tannica che impreziosisce lo sviluppo gustativo. Persistenza sapida praticamente interminabile. Un grandissimo Cesanese di Olevano Romano senza se e senza ma. 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in acciaio e affinato in barrique nuove e usate per circa 12 mesi.

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2007: le annate calde come questa, comunque inferiore alle 2003, non sono facilmente digerite dal cesanese che ritorna nella sua veste calda e compagnona, diretta e generosa grazie ad un sorso leggermente sbilanciato a vantaggio della morbidezza. Da bere subito magari accompagnando il tutto con un ottimo spezzatino di cinghiale. Perché no? 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in acciaio e affinato in barrique nuove e usate per circa 12 mesi.

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2009: un millesimo abbastanza fresco regala un Cesanese di Olevano Romano giovane, anarchico e leggermente scapigliato. Questa caratteristica è tutt'altro che un difetto visto che il naso e, soprattutto, l'espressione gustativa di questo Cirsium è decisamente felice ed equilibrata regalando una bocca succosissima che chiude su sensazioni iodate di grande eleganza. 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in acciaio e affinato in barrique di vecchio passaggio per circa 12 mesi.

Foto: Enoteca Settemila

Damiano Ciolli - 
Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2010: qualcosa è cambiato, si percepisce nettamente odorando e, soprattutto, bevendo questo vino. Sì, qualcosa è cambiato, decisamente in meglio, Damiano ha capito che poteva spingere il suo Cesanese di Olevano Romano oltre il limite, ha compreso che l'affinamento in barrique del Cirsium non garantiva l'espressione di tutte le potenzialità del suo cesanese da vecchie vigne che, probabilmente, poteva evolvere meglio se affinato in botte grande. Aveva ragione Damiano perché questo 2010 ha le stimmate del grande vino essendo contemporaneamente complesso, austero, elegante e vibrante. Un punto di riferimento per tutta la denominazione e non solo. 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in cemento e affinato in botti grandi da 15 hl a cui seguono 9 mesi di cemento e 18 mesi di bottiglia.

Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2011: l'annata mediamente calda stavolta non si traduce in un vino rotondo e caldo ma in un Cesanese di Olevano Romano di ottima integrità dove si sviluppano successioni aromatiche che vanno dalla cola alla bacca di ginepro fino ad arrivare alla frutta di rovo e al sottobosco. Al sorso la grande struttura del vino è decisamente supportata da una acidità irradiante e da una sapidità vulcanica sopra la media. Ciò che balza subito agli occhi o, meglio, al palato del degustatore è la grande bevibilità del vino che, dal 2010 in poi, è la nuova parola d'ordine in casa Ciolli. 
Nota tecnica: il vino è stato fermentato in cemento e affinato in botti grandi da 15 hl a cui seguono circa 24 mesi di bottiglia.


Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC "Cirsium" 2012: l'annata è stata abbastanza calda ma Letizia, la compagna di Damiano che dopo la laurea in enologia e varie esperienze in giro per il mondo segue dal 2010 la cantina aziendale, mi conferma che le abbondanti piogge invernali hanno creato una sufficiente riserva d'acqua nel terreno che, fortunatamente, non ha mai mandato le piante in stress idrico. Il vino, ancora giovanissimo, esplode al naso con una carica aromatica molto voluttuosa dove ritrovo la gelatina di ribes, la fragolina di bosco, la fresia e una ventata di erbe mediterranee. La vendemmia leggermente anticipata si fa sentire soprattutto nel tannino graffiante e scalpitante che rende la beva leggermente sbilanciata su note vegetali. Piacevole, comunque, la persistenza finale il cui gusto rimanda alla mineralità vulcanica del terroir di appartenenza. Nota tecnica: il vino è stato fermentato in cemento e affinato in botti grandi da 15 hl a cui seguono  circa 24 mesi di bottiglia.

Carema ed Erbaluce di Caluso, due vini del Canavese da scoprire e valorizzare

Il Canavese, è un vasto territorio che si estende tra laghi, castelli e piccolo borghi dal grande fascino, nella provincia di Torino, area Nord e nord-Est, fino alla Valle D’Aosta, comprendendo anche una piccola parte delle provincie di Biella e di Vercelli. Da un punto di vista geologico questo territorio è dominato dall’Anfiteatro morenico di Ivrea, lungo circa 25 km, che può essere immaginato come una enorme impronta lasciata dal grande ghiacciaio Balteo che in tempi remoti si ritirò lasciando dietro di sé una grandissima quantità di sabbia, ciottoli e pietre frutto dell’erosione praticata dal ghiacciaio sulle rocce che incontrava durante il suo cammino a ritroso. Questi terreni morenici, mediamene molto acidi, si sono rivelati nel tempo adattissimi, già al tempo dei Romani, alla crescita della vite che oggi è parte integrante di questi splendidi paesaggi all’interno dei quali i vitigni più diffusi sono rappresentati dall’erbaluce e dal nebbiolo.


Su Vinix Digest ho scritto un articolo, spero per voi interessante, dove faccio alcune riflessioni soprattutto sull'Erbaluce di Caluso fermo, un grande vino bianco italiano che ha bisogno di essere sempre più valorizzato così come il suo compagno Carema che, almeno, vanta un disciplinare migliore.

Tenuta del Conte - Cirò DOC Riserva 2012 "Dalla Terra"

Grazie a Tiziana Gallo per la bella edizione di Vignaioli Naturali a Roma. Tra tanti ottimi vini degustati vorrei scegliere quello in foto, prodotto a Cirò da Mariangela Parrilla di Tenut del Conte. Mariangela alle spalle ha una storia per nulla facile, quando sono passato a trovarla in cantina qualche anno fa era immersa in tanti libri di enologia, stava studiando, partendo da zero, per non far chiudere l'azienda di famiglia nonostante un destino crudele. 


Sabato la ritrovo a Roma con questo Cirò davvero buono visto che è riuscita a domare l'irruenza del gaglioppo dando al vino un tocco di femminilità che solo una brava vignaiola sa dare. Io mi sono emozionato per lei. P.s.: Francesco Maria De Franco grazie, e sai perchè!

Klet - Goriška Brda Rebula "Quercus" 2012 è il vino della settimana di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Com’è piccolo il mondo, già. Così piccolo che mi trovo a scrivere in Italia di un vino della Slovenia bevuto in un ristorante in Svezia. Una Rebula, una Ribolla insomma. 


Cedro, pompelmo, un accenno di fiori bianchi, sale e freschezza, buona struttura senza cedimenti alla pesantezza, una beva piacevole.

VIGNAIOLI NATURALI A ROMA 2017 - DECIMA EDIZIONE

Di seguite trovare le parole di Tiziana Gallo che ci invita sabato e domenica a Roma. Chi viene?


E si, sono 10!

Questo è un traguardo che mi rende fiera per aver contribuito, in tutti questi anni, mediante ricerche, selezioni, conoscenze ed esperienze personali, a divulgare nella mia città, la cultura enologica e del “vino naturale”. Sono stati anni in cui il mondo del vino sì è evoluto, sviluppato e cresciuto, dove le persone sono diventate sempre più curiose, attente e soprattutto sensibili nel capire che il vino naturale non è una moda, ma un modo di vivere, una filosofia di vita che viene trasmessa attraverso la passione ed il lavoro, da chi ha deciso di sposare un’agricoltura sostenibile, senza compromessi e senza chimica, nel rispetto della natura e della salute dell’uomo.

Sono perciò orgogliosa di continuare a fare da tramite tra questi piccoli artigiani e le persone, che siano appassionati intenditori o semplici bevitori, così da permettere un pieno confronto ed un contatto diretto e poter ascoltare ciò che un bicchiere di vino racconta, secondo la sua interpretazione, la sua storia ed il territorio dal quale proviene”.

Queste le parole di Tiziana Gallo organizzatrice della Decima Edizione dei Vignaioli Naturali a Roma che nelle giornate dell’11 e 12 novembre 2017, presso la prestigiosa location del The Westin Excelsior Rome - Via Veneto 125  ospiterà, dalle 12.00 alle 19.00, oltre 90 artigiani del vino provenienti da tutta Italia e non solo, lasciando spazio alle immancabili birre artigianali e a qualche sorpresa in serbo per i più curiosi.
L’evento romano, il più atteso della capitale, contribuirà inoltre ad un’iniziativa decisamente “colorata” per sostenere le donne e i bambini della Costa d’Avorio, della Repubblica Democratica del Congo e della Tanzania.

Assolutamente da non perdere quindi questa Decima Edizione dei Vignaioli Naturali a Roma alla quale nessun appassionato di “vino secondo natura” potrà rinunciare!

Per informazioni:
Tiziana Gallo – 338/8549619
info@vininaturaliaroma.com

Barolo 2013: le giovani IGP esprimono perplessità!

Seconda giornata IGP dedicata ai Barolo: il racconto di Marina e Maria Grazia (alias Luciano Pignataro e Angelo Peretti)

I giovani IGP oggi cedono il passo alle "deux dames" Marina Betto e Maria Grazia Melegari per il racconto della seconda giornata di assaggi dedicata al Barolo.

Dove sono le viole, la felce, il sottobosco, l'arancia? Il tabacco, i funghi, il pot-pourri floreale: non ci sono! Note ematiche, ferrose e medicinali, il mallo di noce e la gomma, in compenso,  ci sono spesso.
Dei 60 assaggi di Barolo 2013  sono stati pochi quelli che ci hanno convinto.
Anche oggi  è stata evidente in diversi casi una certa disarmonia tra  naso e bocca, con profumi dolci e caldi di frutta matura - talvolta anche di confettura - e sorsi dai tannini molto duri e scontrosi, con alcune note verdi.


È noto che noi donne degustatrici siamo molto più severe nei giudizi: cerchiamo le sfumature, le nuances più delicate e seducenti, ma non prive di carattere e personalità.
Pur non essendo state anche in quest'occasione molto generose nei giudizi, ci siamo trovate concordi con i nostri cavalieri dell'IGP nell'individuare sei  Barolo che meritano il massimo riconoscimento della commissione.

Barolo 2013 - Negretti
Barolo Bricco  Ambrogio 2013 - Negretti
Barolo 2013 - Alberto Voerzio
Barolo Brea Vigna ca' mia 2013 - Brovia
Barolo 2013 - Cascina Fontana
Barolo La Serra 2013 - Bosco Agostino

Alla scoperta dello smørrebrød, in Danimarca - Garantito IGP

di Angelo Peretti

Non ci provo neppure a pronunciarlo. Troppo difficile. Mi basta scriverlo, ed è difficile anche semplicemente scriverlo. Si scrive così: smørrebrød, con quelle tipiche o barrate danesi che si pronunciano come delle o dette a bocca stretta, grosso modo. È una parola danese, appunto. No, meglio, è un simbolo della gastronomia della Danimarca. Viene da “smor og brod”, che significa “burro e pane”. Ma il burro e il pane – che è rigorosamente di segale, acido, marrone scuro, compatto e si serve affettato – sono solo gli ingredienti base. Perché sopra alla fetta imburrata ci può andare di tutto. L’aringa in primis, in tante varianti diverse e poi unita a senape, capperi, cipolla, rafano, uovo, maionese, cetrioli in agrodolce e chissà che altro, a seconda dello stile della famiglia o del ristorante. Ma poi c’è lo smørrebrød al fegato di maiale, quello al salmone, quello al roast beef, alla tartata di manzo e altri ancora.


Per i turisti, viene fatta una semplificazione espositiva dicendo che è una specie di “open faced sandwich”, un panino aperto, ma è riduttivo. È molto di meglio, è molto di più. In tavola arriva il pane con sopra già i vari ingredienti, oppure arrivano gli ingredienti e bisogna metterli sopra al pane nell’ordine preferito, dopo averlo imburrato. Poi lo smørrebrød va tagliato a quadratini col coltello e si mangia così, a piccoli bocconi, con la forchetta. Insieme ci si può bere la birra, e in Danimarca se ne trova di buonissima, ma il massimo è accompagnarci bicchierini di snaps, un distillato, un’acquavite aromatizzata, e ogni snaps ha il suo accostamento ideale. Un rito, insomma, che induce alla lentezza, alla chiacchiera, alla convivialità. Poi ci si domanda perché le statistiche affermino che la Danimarca è il paese più felice al mondo. Se vi capita di essere da quelle parti, entrate in un locale che faccia smørrebrød di qualità e capirete.


La scoperta la devo a un eccellente wine writer danese, Ole Udsen. Trovandomi a Copenhagen gli ho chiesto consigli. “La cosa la più importante che devi sapere – mi ha detto – è che l’unica cucina davvero e unicamente danese è quella del smørrebrød. Su pane, normalmente di segale, acido e molto-molto denso e succoso, posiamo tante cose, vegetali, di pesce o di carne, con grande fantasia. È una cucina di pranzo, non di cena, e molto buona. Ci sono tantissimi ristoranti che lo fanno, e sicuramente non tutti lo fanno bene, ma quelli che fanno bene lo fanno con ingredienti freschi, scelti e cucinati a casa”.
Ne ho provati due, ad entrambi ho attribuito un applauso virtuale. Fantastici.


Il primo è stato l’Aamanns Deli & Take Away. Posto piccolino, informale, con due salette e due diversi ingressi. Ole l’ha definito “il re del smørrebrød nuovo”. A colpirmi sono state la pulizia dei sapori e la perfetta definizione delle materie prime. Ma anche la competenza del personale. E poi le snaps, aromatizzate da loro, e in particolare quella al rafano e limone vorrei avercela sempre nella mia dispensa, perché accidenti che buona che era, e come puliva perfettamente il palato tra un boccone e l’altro. Indimenticabili lo smørrebrød con aringhe marinate all’antica con formaggio, prugne in salamoia, rafano e segale, quello con pâté di fegato caldo con funghi, pancetta croccante, rape rosse in salamoia ed erbette fresche, quello con la mousse di avocado, cipolla in agrodolce, crema di limone, cavolo e chips di pane di segale e quello con il controfiletto grigliato con maionese affumicata, cipolle rosse in agrodolce e nocciole. Impossibile fare una graduatoria, semplicemente splendidi tutti.


Il secondo locale è stato il Restaurant Palægade. A pranzo fa soprattutto smørrebrød, la sera cucina. Ampio, elegante, leggermente formale, caldo, accogliente. Grande gentilezza. Una scelta notevole di snaps e una bella lista vini. Io sono andato sulle snaps e tra quelle bevute ne ho trovata un’altra che vorrei avere in casa, quella al pepe lungo indonesiano fatta dalla Copenhagen Distillery, di una classe cristallina. Ho voluto provare la degustazione di quattro smørrebrød all’aringa. O meglio, si trattava di quattro varianti dell’aringa (fritta, in salamoia, al curry, agrodolce) servite in quattro ciotoline, con altre ciotoline di ingredienti da accompagnarci (capperi, frutti di cappero, cipolla, senape, uovo in camicia, lardo con le noci) e, a parte, il pane di segale affettato e il burro. Roba da divertirsi un mondo a far prove di accostamento di sapori. Con la consulenza, tuttavia, dei camerieri, che sanno consigliare il neofita. Poi, notevole anche anche il classico smørrebrød al roast beef con la cipolla fritta. Posto fantastico.

Dettaglio non irrilevante in termini di comodità: entrambi i locali permettono la prenotazione on line tramite il loro sito, scegliendo l’ora della visita. In genere, lasciano il tavolo a disposizione dell’ospite per tre quarti d’ora circa. Però è fondamentale rispettare l’orario prenotato, altrimenti il posto viene, giustamente, riassegnato.

Altra cosa: grazie, Ole, grazie mille. Ricambierò.

Aamanns Deli & Take Away, Øster Farimagsgade 10, Copenhagen, internet aamanns.dk
Restaurant Palægade, Palægade 8, Copenhagen, internet palaegade.dk


La lista dei Barolo 2012 e 2013 preferita dai giornalisti di Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Secondo giorno in Langa per I Giovani Promettenti più il solito “infiltrato” Pasquale Porcelli, con la presenza straordinaria di Marina Betto, che sostituisce Luciano Pignataro, assente giustificato.

Bene, oggi abbiamo degustato 46 Barolo 2013 e 10 Barolo 2012, ma ci aspettano altre due mattinate per avere un quadro completo della situazione. Intanto possiamo dire sull’annata più giovane che abbiamo trovato delle espressioni non sempre convincenti sul piano olfattivo, in un buon numero di casi abbiamo riscontrato profumi già piuttosto maturi, mentre al palato i tannini apparivano un po’ verdi, non proprio di grana finissima. Nel complesso però la 2013 si è rivelata un’annata qualitativamente interessante, tant’è che sui primi 46 campioni abbiamo selezionato ben 8 Barolo più che meritevoli.

Per quanto riguarda l’annata 2012, composta per ora di soli 10 vini, ci è sembrato che il livello sia davvero molto buono: equilibrio, complessità e finezza, in particolare nei 3 campioni che abbiamo selezionato. Dato che il Macchi, nell’articolo di ieri sui Barbaresco non lo ha specificato, ci tengo a precisare che i vini vengono degustati rigorosamente alla cieca.


Ecco i Barolo della prima giornata da noi preferiti:

Barolo Ornato 2013 – Palladino
Barolo San Giovanni 2013 – Gianfranco Alessandria
Barolo Perno 2013 – Cascina del Monastero
Barolo 2013 – Rocche Costamagna
Barolo Rocche dell’Annunziata 2013 – Rocche Costamagna
Barolo Gabutti 2013 – Sordo
Barolo Vigna Castellero 2013 – Francesco Borgogno
Barolo Cannubi 2013 – Fratelli Serio & Battista Borgogno
Barolo Cannubi 2012 – Borgogno
Barolo Liste 2012 – Borgogno
Barolo Bussia Vigna Campo dei Buoi 2012 – Costa di Bussia

Dieci grandi Barbaresco 2014 da comprare al volo - Garantito IGP

Di Carlo Macchi

Come sempre il primo giorno de I Giovani Promettenti in Langa è dedicato al Barbaresco, e quest’anno era la volta del 2014 (anche se avevamo anche qualche 2013 e 2012).
Annata da tregenda con pioggia, freddo e tutto quanto riesce a rendere difficile fare dei buoni vini. Durante Nebbiolo Prima ad aprile ecco cosa avevo scritto
“Anche se sembra che nella zona del Barbaresco sia piovuto meno che nel Barolo, la vendemmia 2014 non potrà certo essere definita di alto livello. Generalmente siamo di fronte a vini non molto concentrati, strutturalmente esili, spesso con acidità alte e tannini tendenzialmente verdi: anche con le dovute eccezioni qualitative che per fortuna ci sono (soprattutto nelle vigne storicamente più vocate) la degustazione non ci ha riservato grandi soddisfazioni. Crediamo che qualche mese di bottiglia in più possa, mai come in questo caso, essere un’arma importante per l’equilibrio dei vini.”
E qualche mese in più è servito, eccome! Ci siamo trovati di fronte a vini equilibrati, con tannini in qualche caso giustamente accennati, che usando una frase di moda potremmo definire “giocati in sottrazione”.
I nasi spesso  non andavano a ricercare profondità introvabili ma si presentavano con gamme aromatiche fini e piuttosto complesse, dove, sia spezie che frutta giocavano un ruolo equilibrato e definito. Il fruttato spesso puntava verso note piacevolmente agrumate, mentre tra le spezie la menta e il timo erano spesso in prima fila.
Per fortuna i legni o erano stati usati con parsimonia o hanno avuto tempo per fondersi sia al naso che in bocca, dove ad una impossibile potenza si è sostituita una generale finezza e sobrietà tannica.
In definitiva vini da poter bere tranquillamente e piacevolmente sin da subito e con possibilità di invecchiamento mediamente attorno ai 4-7 anni da adesso.
Qua sotto troverete i 10 vini che ci sono più piaciuti, considerando che la regola era la seguente: almeno 4 dei 6 degustatori dovevano aver dato un voto molto alto.
Voglio precisare che questi voti non coincideranno con quelli della degustazione di Winesurf che verranno pubblicati tra qualche tempo.
Barbaresco 2014 Nervo, Pertinace
Barbaresco 2014, Ricossa
Barbaresco 2013 Rocche Massalupo, Lano Gianluigi
Barbaresco 2014 Rabajà, Giuseppe Cortese
Barbaresco 2014 Fratelli Serio e Battista Borgogno
Barbaresco 2014 Fontanabianca
Barbaresco 2014, Nervo, Rizzi
Barbaresco 2014 Gallina, Ugo Lequio
Barbaresco 2014 Roncaglie, Poderi Colla
Barbaresco 2014 Castellizzano, Pertinace

Corino - Barolo “Vigneto Rocche” 1991 è il Vino della settimana di Garantito IGP

L’annata 1991 è d’annoverarsi tra quelle minori per il Barolo; classificata a 2/3 stelle (su cinque) non se ne ipotizzava un futuro di longevità.



Ebbene, l’assaggio di questo “Vigneto Rocche” ci conferma che: “quante cantonate si prendono nel prevedere il futuro d’un vino”. Tre soli superlativi per descriverlo: equilibratissimo, armonicissimo, elegantissimo.



Nino Negri compie 120 anni e noi lo festeggiamo con una verticale del suo Sfursat 5 Stelle - Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

Se vi dicessimo che lo “Sfursat 5 Stelle” della Nino Negri è lo Sforzato che preferiamo in assoluto vi mentiremmo.

Sia chiaro, non che questo vino non ci piaccia. Anzi, ci piace molto, ma il nostro gusto è più improntato verso vini meno impegnativi e questo vino lo è “impegnativo”.
Strutturato, potente, alcolico, esplosivo, a volte un poco “eccessivo”, con note dolci date dal legno spesso percepibile quando è giovane (il lungo affinamento avviene in barrique), a volte persino un poco “amaroneggiante”.

Un vino di rara pulizia, superpremiato, che ha fatto storia dalla sua prima messa in commercio nel lontano 1983, e che ha molto aiutato nel far conoscere al mondo la Valtellina ed i suoi vini.
Dicevamo di preferire vini meno impegnativi, più territoriali (passateci il termine), ad esempio, rimanendo in tema Sforzato ed in casa Nino Negri, andiamo a preferire spesso nelle varie degustazioni (in blind tasting) lo “Sfursat Carlo Negri”, affinato quest’ultimo in botti di grandi dimensioni e, perlomeno secondo noi, più rispettoso delle tradizioni valtellinesi. Ebbene, la degustazione verticale alla quale abbiamo partecipato lo scorso 10 ottobre, in occasione dei festeggiamenti per i 120 anni dell’azienda (nata nel 1897) ci ha fatto ricredere in merito e ci ha chiarito i motivi per cui non ritenevamo il 5 Stelle il prototipo assoluto dello Sforzato.


Il perché in verità è molto semplice: nelle nostre degustazioni di questo vino (ripetiamo, a bottiglie coperte, in occasione degli assaggi per le guide od altro) abbiamo sempre assaggiato un vino troppo giovane, a volte addirittura ancora embrionale. Non avevamo mai effettuato una verticale di questo Sforzato, soprattutto andando indietro nel tempo di quasi trent’anni. Durante la degustazione condotta a due voci da Luciano Ferraro e da Casimiro Maule (enologo storico dell’azienda), quest’ultimo ha detto che il periodo migliore per apprezzare al massimo questo vino va collocato tra i suoi  otto ed i quindici anni d’età.
Noi ci spingiamo oltre, raramente abbiamo infatti assaggiato (l’abbiamo bevuto per la verità) un vino così elegante, armonico, equilibrato, vivo, come il 1997, un vino di vent’anni.

Ferraro e Maule

Ma veniamo dunque alla degustazione, che prevedeva sei annate, dalla 2013 alla 1989, passando per le 2009, 2001,1999 e appunto la 1997. Eccovi quindi le nostre impressioni, precedute da una sintetica descrizione dell’annata:


2013: Inverno freddo, nevoso e piovoso, pioggia che ha continuato sino a giugno, a seguire un periodo caldo e siccitoso con ritorno di piogge a fine luglio. In settembre ed ottobre si sono alternati periodi soleggiati e piovosi. Ottimale il periodo durante l’appassimento.
Il colore del vino è granato luminoso, l’unghia presenta una sfumatura aranciata.Intenso al naso, pulito, alcolico, emergono netti i sentori di confettura di frutta rossa, prugna in primis, note balsamiche e leggeri accenni di vaniglia vanno ad identificare i contenitori d’affinamento. Strutturato, alcolico, asciutto, fresco, con tannini decisi e note piccanti, chiude con lunga persistenza su note di liquirizia forte. Nel complesso un vino che promette molto bene, anche se assai giovane al momento. Occorrerà aspettare per poter goderselo al meglio.

2009: abbondanti le nevicate dal mese di gennaio, primavera variabile, caldo da maggio a metà agosto, dopo qualche pioggia ritorno di bel tempo per settembre ed ottobre. Annata tra le più importanti, secondo l’azienda. Color granato-aranciato, luminoso. Balsamico al naso, con sentori di confettura e frutta rossa macerata, spezie dolci e note di legno dolce. Dotato di buona struttura, con tannini decisi ma vellutati, alcolico, speziato ( quasi pepato), con bella vena acida e lunga persistenza.Un vino molto elegante, pronto a bersi, il migliore (secondo noi), subito dopo lo strepitoso 1997.


2001: inverno piovoso e nevoso, con primavera calda ma piovosa, estate calda, piogge settembrine. Un’annata definita “storica” dall’azienda. Il colore è granato-mattonato. Intenso al naso, un poco austero, s’apre su note di sottobosco, fiori secchi, confettura di prugne e spezie dolci, buona la sua eleganza. Morbido al palato, alcolico, di buona struttura, elegante, bella la trama tannica, accenni piccanti, buona la persistenza su sentori di liquirizia dolce.Un grande vino, anche se non all’altezza del 2009 (ovviamente sempre secondo noi).

1999: inverno asciutto, primavera equilibrata, caldo insolito tra fine maggio inizio giugno, estate calda ma con temporali serali, da metà agosto basse temperature che proseguono sino alla metà di settembre, caldo asciutto nella seconda metà di settembre. Il colore è mattonato (ci avviciniamo ai vent’anni d’età). Evoluto al naso, mediamente intenso, con sentori terziari che rimandano alla radice di genziana.Morbido al palato, evoluto, caffè, legno ancora percepibile, bella vena acida e lunga persistenza. Il meno interessante (a parte il 1989) tra quelli degustati, un vino un poco stanco, meglio alla bocca che non al naso.

1997: nessuna precipitazione sino al 20 aprile con una gelata alla metà del mese, vendemmia anticipata con alta gradazione zuccherina, appassimento ottimale. Grande annata (sempre secondo l’azienda). Il colore è granato-aranciato. Austero al naso, un poco chiuso all’inizio, s’apre poi su note balsamiche di grande eleganza, un vino delicato che presenta ancora sentori di confettura. Morbido ed al contempo verticale, fresco, con note dolci, equilibrato, armonico, elegantissimo. Un vino notevole, come scritto in precedenza il migliore della batteria.

1989: primavera alterna, buon apporto idrico durante l’estate, la vendemmia si è effettuata nelle condizioni ottimali.Annata storica, secondo l’azienda. Più si va indietro nel tempo e maggiormente si accentuano le differenze tra una bottiglia ed un’altra. In questo caso poi, a detta dello stesso Maule, alcune bottiglie non provengono direttamente dall’azienda (ne avevano troppo poche), ma sono state reperite sul mercato apposta per questa degustazione. Quella toccata a noi aveva dei problemi di vecchiaia (o di conservazione) tantoché non ce la sentiamo di valutarla e descriverla. Comunque si presentava con un color mattonato-aranciato ed al naso, seppur intenso, trasparivano sentori di verdure. Alla bocca, con tannini asciutti, l’evoluzione era piuttosto spinta. Peccato.